È stato un anno ricco di eventi imprevedibili e apparentemente fuori dagli schemi logici cui siamo stati abituati per lungo tempo: guerre commerciali; tendenza all'isolamento; ascesa di partiti politici di estrema destra o estrema sinistra in Europa; instabilità politica ed economica in Argentina, Turchia e, ancor più grave, quella in corso in Venezuela; tensioni in Medio oriente; l'assurdo e inspiegabile caos della Brexit e, per finire, i movimenti di protesta dei gilet jaunes che assediano la Francia da 20 settimane, causando danni economici e spaccature sociali rilevanti. La crescita globale stimata per il 2019 è stata rivista al ribasso, +3,5% (rispetto a 3,7%) e +3,6% nel 2020 (rispetto a +3,7% precedente). Il mondo quindi continua ad andare alla grande, ma sta rallentando. Questo è fisiologico. I Paesi Ocse sono al 27º trimestre consecutivo di crescita, il terzo più lungo periodo di continua espansione dal Dopoguerra ad oggi. Peccato che l'Italia sia, oltre alla Turchia, l'unico Paese dei 36 Ocse con previsione di crescita negativa per il 2019 (-0,2%, fonte Ocse) ed abbia tirato il freno a mano.
Evidentemente la causa della grave e repentina frenata è solo in misura molto limitata riferibile al rallentamento globale. La situazione è molto seria se consideriamo anche che il rapporto tra il debito pubblico italiano e il Pil ha raggiunto valori prossimi al massimo storico (è il 18% inferiore rispetto al picco massimo del 1920 e il 22% superiore rispetto al picco della Seconda guerra mondiale). Sempre più spesso, ultimamente anche in Italia (dove abbondano i segnali preoccupanti anti impresa e anti investimenti), sentiamo parlare con disprezzo di crescita, globalizzazione e sviluppo. Pare stia tornando di moda una visione per un futuro in decrescita (in letteratura ci si riferisce alla decrescita felice, quasi un ossimoro), che prevede il superamento dell'economia di mercato, l'azzeramento della globalizzazione, e il ritorno a modelli di vita e di consumo a basso impatto e a bassa complessità. Il concetto di decrescita (felice) è alla base di una corrente di pensiero politico, economico e sociale favorevole alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi.
La convinzione è che la crescita economica - intesa come accrescimento costante del prodotto interno lordo non porti a un maggior benessere, ma sia al contrario la causa di un peggioramento della qualità della vita di tutti noi. Tuttavia, sono convinto che non possa esistere un futuro senza crescita e che crescita non significhi maggior inquinamento, minori risorse e peggiori condizioni di vita. Il progresso economico e la straordinaria crescita economica ed industriale che hanno vissuto i Paesi del mondo negli ultimi decenni hanno permesso il raggiungimento di standard di vita mai raggiunti prima. Solo per citarne alcuni: la povertà nel mondo è al minimo storico (meno del 10% della popolazione mondiale); il tasso di alfabetizzazione è al massimo storico, l'86,2% della popolazione; oggi la maggior parte dei cittadini del mondo vive in Paesi a medio reddito e l'aspettativa di vita alla nascita è la più alta di sempre a livello globale, in media 72 anni, 4 più del doppio rispetto a un secolo fa e 16 anni in più rispetto a 50 anni fa; il tasso di sopravvivenza dei giovani sotto i 20 anni al cancro è dell'80%, contro il 60% di 30 anni fa e l'Aids non è più la prima causa di morte in Africa.
Tutto è stato reso possibile dalla crescita e dalla conseguente creazione di ricchezza. Inoltre, bisogna considerare che lo sviluppo dei Paesi emergenti non sta avvenendo nello stesso modo in cui è avvenuto per i Paesi occidentali. La Cina ad esempio è oggi il maggior produttore di elettricità da fonti rinnovabili al mondo oltre che essere leader per numero di autoveicoli elettrici (nel 2018 ne sono stati venduti oltre un milione); il mondo si sta muovendo verso la decarbonizzazione dell'economia; entro il 2030 nel mondo ci saranno 228 milioni di veicoli elettrici, rispetto ai 3 milioni presenti oggi. Anche l'Europa si sta muovendo in modo accelerato verso l'elettrificazione: la quota di energia elettrica sui consumi finali di energia arriverà al 31% del totale nel 2030, rispetto al 22% attuale.
Il grande sviluppo tecnologico di cui tutta l'umanità ha beneficiato, ha portato a un ribaltamento di importanti paradigmi; ne cito solo un paio: riprendendo Porter, oggi non è più l'epoca del o (leadership di costo, oppure di differenziazione); oggi è l'epoca del e (se vuoi vincere devi fare entrambe le cose); la teoria dei rendimenti decrescenti non è più vera. Secondo questa teoria dopo un certo numero di input, l'output decresce (l'esempio classico è quello dell'acqua in un campo di grano, fino ad un certo punto è positiva, poi si allaga tutto ed il grano muore). Non si spiegherebbe altrimenti come la più grande società di ospitalità al mondo (AirBnb) non possieda immobili, oppure, come la più grande società al mondo di gestione delle flotte (Uber) non possieda vetture, o, come il più grande retailer al mondo (Amazon) non possedesse, fino a pochi anni fa, alcun negozio, o come il più grande media al mondo, Facebook, non abbia né giornali né giornalisti.
In altre parole, la digitalizzazione dell'economia e la tecnologia stanno cambiando paradigmi consolidati. Vorrei ricordare che meno crescita ed economia in affanno significano meno risorse da indirizzare verso la riduzione dei divari, verso il contrasto al cambiamento climatico, minor possibilità di investire in soluzioni tecnologiche che producono un risparmio di risorse e una riduzione dell'inquinamento. Chi teorizza ed auspica una «decrescita felice» come unico mezzo per salvare il pianeta dagli effetti negativi dello sviluppo industriale pecca di estrema superficialità e tende a generalizzare, non comprendendo come proprio il progresso economico, industriale, scientifico e sociale abbia permesso di ridurre le esternalità negative legate alla crescita (anche economica) di un Paese.
Alla vera base del progresso e dell'uscita dalla povertà c'è l'esplosione del commercio globale, passato dai 58 miliardi di dollari del 1948 ai quasi 18 trilioni di dollari del 2017. Bloccarlo o rallentarlo, sperando di ridurre l'inquinamento, avrebbe solamente ricadute negative, oltre che essere di impossibile realizzazione. Gli autori della decrescita enfatizzano l'autonomia, la dimensione delle realtà locali e la supremazia dell'interesse locale rispetto all'internazionalizzazione e alla dimensione globale, ma per ridurre l'impatto ambientale serve un'azione coordinata a livello sovranazionale. La cultura anti-industria, anti-investimenti, antiimprenditorialità diffusa e a favore di una decrescita felice (diffusa non solo in Italia), più che un nuovo modello di sviluppo economico pare un inno al pessimismo e una rassegnazione verso un futuro che deve essere per forza peggiore rispetto a quello attuale.
È ovvio che oggi non siamo ancora nella condizione di dire che l'attività economica sia tutta sostenibile, ma è proprio per questo che non dobbiamo fermarci, non dobbiamo stancarci di investire, innovare, fare ricerca, sviluppare nuove e sempre più avanzate soluzioni tecnologiche... È un fatto accertato che la società stia guadagnando la stessa crescita economica con molto meno materiale fisico richiesto rispetto al passato: tra il 1977 e il 2001, infatti, la quantità di materiale necessaria per soddisfare i bisogni degli americani è diminuita dell'11%, anche se la popolazione del Paese è aumentata di 55 milioni di persone. In altre parole, abbiamo migliorato le nostre condizioni di vita non usando più risorse, ma usandone meno e in maniera più intelligente. Negli ultimi 50 anni il valore della nostra economia è triplicato, mentre il suo peso si è mantenuto stabile. Proviamo a immaginare come sarebbe la nostra quotidianità se la classe dirigente avesse adottato questa strategia di crescita zero fin da subito: useremmo la frusta e i cavalli per muoverci e non le automobili (oggetto esemplare di inquinamento); non useremmo il water (esempio di spreco idrico) per i nostri bisogni fisiologici; non riscalderemmo le nostre case perché il riscaldamento cittadino è una delle principali fonti di inquinamento delle nostre città. La decrescita felice sarebbe un accontentarsi e una totale miopia verso quello che la tecnologia oggi ci offre per contrastare le esternalità negative che lo sviluppo, forse troppo forsennato e irresponsabile della seconda metà del '900, ha portato, come il cambiamento climatico e gli effetti che ha sul nostro ecosistema che tutti noi conosciamo, e che vanno certamente combattuti.
L'aumento dei divari di ricchezza tra ricchi e poveri cui stiamo assistendo nella maggior parte dei Paesi va affrontato non inducendo una decrescita (che renderebbe tutti più poveri), ma con adeguate politiche redistributive, fiscali e di accompagnamento ad un futuro migliore, a partire dalla formazione delle fasce più deboli della popolazione...
Molto ancora resta da fare, ma l'auspicio è che la classe dirigente dei Paesi del mondo condivida il sogno di un futuro in cui crescita economica e sostenibilità ambientale vadano di pari passo e, anzi, siano l'unica via percorribile per consegnare ai nostri figli un mondo migliore rispetto a quello di oggi.
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