Cronache

Delitto di Garlasco, un giallo lungo nove anni: tutte le tappe della vicenda

Oggi la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso straordinario di Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l'omicidio di Chiara Poggi, chiudendo definitivamente il caso di Garlasco

Delitto di Garlasco, un giallo lungo nove anni: tutte le tappe della vicenda

"Ho trovato una persona uccisa in via Pascoli, venite", inizia così il giallo di Garlasco: a pronunciare quelle parole Alberto Stasi, 24enne studente bocconiano, che il 13 agosto del 2007 chiama il 118 per chiedere i soccorsi.

La sua fidanzata, Chiara Poggi, è stata uccisa nella casa del paese in provincia di Pavia dove abita con i genitori e il fratello, che in quel momento sono in vacanza. Queste le tappe della vicenda che ha diviso per nove anni le due fazioni di "innocentisti" e "colpevolisti".

Le indagini

  • 20 agosto 2007: la Procura di Vigevano indaga Stasi con l'accusa di omicidio volontario. I carabinieri sequestrano la sua bicicletta bordeaux e il suo computer, frugano in ogni angolo della casa. Da questo momento sarà l'unico sospettato per il delitto.
  • 24 settembre 2007: il pm Rosa Muscio ordina il fermo di Stasi. La prova "regina" consiste, spiegano gli investigatori, nella presenza del dna della vittima sui pedali della bicicletta in sella alla quale Alberto sarebbe fuggito.
  • 28 settembre 2007: il gip Giulia Pravon dispone la scarcerazione di Alberto: non ci sono prove, solo suggestioni accusatorie. "Fine di un incubo", commenta lui.
  • 3 novembre 2008: la Procura chiede il rinvio a giudizio di Stasi. Alla fine di dicembre, Alberto viene indagato per una nuova ipotesi di reato: detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico. Nel suo pc ci sarebbero decine di file a sfondo sessuale che coinvolgono minorenni.

Il processo di 1° grado

  • 23 febbraio 2009: comincia l'udienza preliminare davanti al gup Stefano Vitelli. I legali di Stasi scelgono il rito abbreviato.
  • 9 aprile 2009: i pm Rosa Muscio e Claudio Michelucci chiedono la condanna a 30 anni di carcere. "Colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio - dicono - ha ucciso per una lite avvenuta la sera precedente. "Non ci sono arma, movente, solo indizi discordanti, ho paura di una giustizia penale che costruisce prima i colpevoli e poi le prove", ribatte il professor Angelo Giarda, che guida il pool di difensori.
  • 30 aprile 2009: il gup si ritira in camera di consiglio e ne esce con una decisione a sorpresa, disponendo 4 nuove perizie sui punti oscuri dell'inchiesta, partendo dal presupposto che le indagini sono state "lacunose". Alberto Stasi viene assolto. Decisiva la perizia informatica che dimostra come Stasi stesse lavorando a casa sua alla tesi di laurea durante il probabile orario del crimine, tra le 9 e 12, quando viene disattivato l'allarme di casa Poggi, e le 9 e 35. Tutti gli altri indizi vengono valutati dal gup come "contraddittori o insufficienti".

L'appello

  • 8 novembre 2011: comincia il processo d'appello davanti ai giudici milanesi. Il pg Laura Barbaini chiede 30 anni di carcere o, in subordine, la rinnovazione del dibattimento.
  • 6 dicembre 2011: la Corte d'assise d'appello conferma l'assoluzione. Nelle motivazioni, i giudici osservano che la realtà "è rimasta inconoscibile nei suoi molteplici fattori rilevanti, la maggior parte dei quali sono condizionati unicamente dal caso". Parte civile e Procura generale presentano un ricorso in Cassazione sostenendo che il verdetto in secondo grado esclude una serie di dati facendoli passare come "mere congetture o supposizioni personalistiche".

La Cassazione

  • 18 aprile 2013: la Cassazione annulla la sentenza d'assoluzione e dispone un nuovo processo.

L'appello bis

  • 9 aprile 2014: inizia a Milano il processo d'appello bis per Stasi, in aula sia l'imputato che i genitori di Chiara, Rita e Giuseppe Poggi. Il pg chiede nuove indagini.
  • 30 aprile 2014: i giudici della Corte d'assise d'appello di Milano accolgono la richiesta di riaprire il dibattimento. Stasi consegna ai carabinieri la bicicletta nera per le verifiche.
  • 8 settembre 2014: Stasi viene sottoposto a un nuovo prelievo del dna per la comparazione con quello trovato sotto le unghie di Chiara.
  • 11 settembre 2014: i periti dichiarano che su Chiara il dna trovato è troppo poco e l'esame non può quindi essere completo.
  • 22 settembre 2014: secondo i consulenti dell'accusa e della parte civile appare "quasi impossibile che Stasi non si sia sporcato le scarpe" di sangue quando ha ritrovato il corpo della fidanzata.
  • 3 novembre 2014: vengono sentiti nuovi testimoni. I carabinieri confermano la presenza di graffi sulle braccia di Stasi dopo la morte di Chiara.
  • 24 novembre 2014: il pg Laura Barbaini chiede la condanna di Stasi a 30 anni di carcere per omicidio aggravato dalla crudelta.
  • 27 novembre 2014: secondo la parte civile, che si associa alla richiesta di condanna del pg, contro Stasi ci sono "11 indizi gravi, precisi e concordanti".
  • 3 dicembre 2014: la difesa chiede l'assoluzione "per non aver commesso il fatto", contro Stasi "non ci sono prove".
  • 17 dicembre 2014: Stasi viene condannato a 16 anni di carcere e 1 milione di risarcimento. La condanna, rispetto alle richieste dell'accusa, non ha riconosciuto l'aggravante della crudeltà.

La Cassazione bis

  • 11 dicembre 2015: si apre l'udienza nell'Aula Magna della Cassazione con la relazione del giudice Rosa Pezzullo. Non sono presenti né Stasi né i familiari di Chiara. Presidente è Maurizio Fumo che deve decidere sui due ricorsi presentati: uno dalla Procura generale di Milano, che chiede una pena più severa dopo che in appello è caduta l'aggravante della crudeltà, e l'altro dalla difesa di Stasi che sollecita l'assoluzione. Il sostituto pg Oscar Cedrangolo chiede di annullare la condanna e celebrare un nuovo processo. "Non è stato trovato un movente - spiega - e gli indizi non sono affatto certi", c'è poi "illogicità" nelle risultanze processuali. I giudici, alle ore 20, entrano quindi in camera di consiglio che viene però subito sospesa e riaggiornata.
  • 12 dicembre 2015: alle ore 9 riprende la camera di consiglio. Dopo poco più di due ore viene emessa la sentenza definitiva: Alberto Stasi ha ucciso la fidanzata Chiara Poggi e deve scontare 16 anni di carcere. Poco dopo l'ex studente della Bocconi si costituisce nel carcere milanese di Bollate senza attendere l'ordine di esecuzione della pena.

Nuove indagini

  • 23 settembre 2016: il giudice di Pavia Daniela Garlaschelli condanna l'ex maresciallo dei carabinieri Francesco Marchetto a due anni e mezzo di reclusione e a pagare i danni alla famiglia Poggi con una provvisionale di 10mila euro. Marchetto, ora in pensione, all'epoca dei fatti comandava la stazione dei carabinieri di Garlasco. L'accusa è di aver dichiarato il falso al giudice che lo interrogava e di aver sviato le indagini (in particolar modo sulla questione della bicicletta nera da donna in possesso della famiglia Stasi).
  • 23 dicembre 2016: sulla base di indagini svolte dai difensori di Stasi dopo la sentenza della Cassazione, i pm di Pavia iscrivono nel registro degli indagati Andrea Sempio, un amico del fratello di Chiara. Un'iscrizione che è un atto dovuto dopo l'esposto dei legali in cui si riportano studi genetici dai quali risulterebbe che il dna trovato sotto le unghie della vittima coincide con quello del ragazzo.
  • 28 gennaio 2017: il gip di Pavia archivia l'inchiesta su Sempio accogliendo la richiesta della Procura. "È categoricamente esclusa la responsabilità di Sempio", scrive il gip definendo "radicalmente priva di attendibilità la consulenza tecnica sul materiale genetico offerto dalla difesa Stasi".
  • 21 aprile 2017: i legali di Sempio querelano quelli di Stasi per le indagini sul dna, accusandoli di calunnia, falso ideologico e violazione della legge sulla privacy. Pochi giorni dopo, arriva la "contro-querela" della difesa Stasi nei confronti dei colleghi che assistono il giovane assolto.

Il ricorso straordinario

  • 24 maggio 2017: si viene a sapere che la difesa di Stasi ha presentato un ricorso straordinario in Cassazione attraverso cui chiede la revoca della sentenza definitiva di condanna per un presunto "errore di fatto" commesso dai giudici che avrebbero dovuto riascoltare in appello i testi assunti come fonti di prova nel primo grado chiuso con l'assoluzione dell'ex studente.
  • 28 giugno 2017: oggi la decisione della Cassazione di non revocare la sentenza di condanna.

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