Cultura e Spettacoli

Il docufilm sul Bataclan? Un capolavoro (di ipocrisia)

Immagini e testimonianze inedite, ma la matrice islamica degli attentati non viene mai nominata

Il docufilm sul Bataclan? Un capolavoro (di ipocrisia)

Il documentario 13 novembre: Attacco a Parigi supera il confine tra il capolavoro e il capolavoro d'ipocrisia.

Il film, disponibile su Netflix, è in tre parti di un'ora circa, e rende bene l'idea della serata drammatica del 2015 in cui i terroristi hanno seminato morte e paura nella Capitale. Manca però un dettaglio: la matrice islamica degli attentati non è mai nominata. Lo spettatore, dunque, sente parlare di aggressori, kamikaze, cecchini senza mai sapere chi essi siano e cosa vogliano. A stento sono ricordati altri tragici attacchi, ma non è sufficiente per ricostruire il contesto in cui avviene il bagno di sangue. Gli assassini restano senza volto, anche se ormai sono stati identificati tutti (e uno di loro è stato catturato in Belgio).

Un documentario dovrebbe aiutare a capire. In questo caso, purtroppo, non funziona così. L'autocensura imposta dal politicamente corretto arriva a omettere verità assodate ed essenziali per la comprensione. Naturalmente, la scelta è consapevole, per evitare strumentalizzazioni di ogni tipo, come hanno spiegato i due registi, Jules e Gédéon Naudet. Il documentario vuole essere una testimonianza universale sull'orrore e la rinascita. Ma proprio l'omissione di un dato di fatto sembra strumentale oltre che errata in un lavoro per il resto completo. Dal punto di vista cinematografico, 13 Novembre: Attacco a Parigi è considerato dalla critica un capolavoro. La tensione sale subito a mille, la sequenza delle sparatorie e le parole dei sopravvissuti descrivono uno scenario apocalittico, che lascia ammutolito anche chi crede di sapere tutto sulla vicenda.

I registi hanno intervistato per ore chi è riuscito a salvarsi. Ne escono storie terribili, ma quello che più impressiona sono forse i silenzi che seguono le testimonianze personali. Quei volti tirati, che lottano per non essere sopraffatti dalle lacrime, ci dicono che c'è qualcosa che non si può raccontare, forse qualcosa che non raggiunge la coscienza, ma tormenta comunque il profondo dell'anima. Oltre alle vittime, sono state intervistate anche le autorità, dal presidente François Hollande in giù.

Sullo schermo passano le immagini dello Stadio di Francia, dove si giocava una amichevole con la Germania. Poi gli assalti ai locali, pieni di gente dentro e fuori, visto il clima mite. Infine il Bataclan, dove il terrore raggiunge l'apice. Nella mitica sala concerti ci sono gli Eagles of Death Metal, una divertente band statunitense. Un commando dell'Isis fa irruzione. La morte colpisce a caso. Le fucilate nel mucchio. Le fucilate a chi tenta la fuga. Quando tutti si buttano a terra fingendosi morti, i colpi iniziano a piovere anche dalla balconata del locale. Dopo l'esplosione del primo kamikaze in platea, fanno irruzione le forze speciali della polizia. I due terroristi superstiti si chiudono in un corridoio facendosi scudo con una decina di ostaggi. Chi è stato in quel corridoio ha vissuto momenti terribili, era infatti chiaro che i rapitori non avevano alcun piano se non farsi saltare in aria. Ma non basta. Gli ostaggi sono costretti a cooperare con i terroristi per guadagnare tempo ed evitare una strage immediata. Quando la polizia entra nel Bataclan per tentare l'assalto parte il cronometro, e lo spettatore è abbandonato al sonoro dell'operazione. Dopo la sparatoria si sente una esplosione, un kamikaze ha schiacciato il pulsante. Per miracolo tutti gli ostaggi del corridoio sopravvivono. Ci sono scene che si conficcano nella memoria. Ad esempio i superstiti che si allontano sull'autobus avvolti negli scintillanti teli termici. Il quotidiano, l'autobus, stravolto dallo straordinario, i teli termici dorati.

Insomma, 13 novembre: Attacco a Parigi aveva le carte in regola per essere acclamato come capolavoro.

Ma l'autocensura in omaggio al politicamente corretto lo riduce a essere un capolavoro di ipocrisia.

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