Sembra incredibile. Se io, per puro manierismo e spirito competitivo, parlo il linguaggio di Grillo, che ha fatto crescere il suo movimento a forza di vaffa e insulti portandolo a credere di essere «geneticamente diversi da Berlusconi», vengo guardato con aria scandalizzata da esponenti politici che sembrano sorpresi, come davanti a un linguaggio sconosciuto. Con pericolose ammissioni di stima, fra l'altro, come di chi si rammaricasse per come io metto in discussione e mortifico il mio valore.
Un consigliere comunale 5 stelle di Perugia chiede addirittura alla amministrazione di togliere il patrocinio a una mostra da me curata sull'Accademia di San Luca da Raffaello a Canova, per le mie considerazioni purgative su Di Maio. E argomenta, con rammarico e amarezza: «Noi avremmo fatto pubblicità comunque alla mostra, perché ci teniamo che le iniziative culturali e turistiche vadano bene in città. Io stesso ci andrò come sempre volentieri perché sono un estimatore di Sgarbi. Non solo da umile politico, ma è soprattutto da estimatore che rimango deluso, basito e da ultimo schifato quando lo vedo in certi video».
Quando vedeva invece Grillo infamare Umberto Veronesi, Napolitano, Berlusconi,
Renzi, i cronisti («vi mangerei per il gusto di vomitarvi»), il mio deluso estimatore invece apprezzava, si candidava e a quel linguaggio garantiva il suo patrocinio interiore. Grillo può vomitare, io non posso sedermi sul wc.
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