Fuori, sotto i portici, non c'è il solito formicolare dei giorni ordinari. Alle porte, poi, il benvenuto lo dà un ultimo scroscio furibondo di pioggia gelata, alleata del virus e della psicosi da virus. Dentro, il Duomo appare in tutta la sua immensità, ancora più immensa in quegli spazi semideserti.
Milano è svuotata e la cattedrale, nel lunedì della riapertura al turismo, pare in letargo. Due giapponesi, con mascherina di ordinanza, si fotografano a vicenda sullo sfondo lontanissimo dell'abside. Più in là, dopo metri e metri desolatamente vuoti e silenziosi, un altro giapponese sorride e attacca la conversazione in un improbabile inglese, ma la moglie, atterrita, gli sistema la mascherina sulla bocca. Come se stesse parlando con un untore. Circolano più giornalisti che turisti, moscerini in un ambiente troppo grande. Ma le meraviglie dell'arte e della storia prendono il sopravvento: Muriel, brasiliano dello Stato di Espirito Santo, ripete estasiato: «Bellissimo, bellissimo, bellissimo». E guarda estasiato la madre che sparge a sua volta entusiasmo. Basta poco, davvero poco, per uscire dal sortilegio maligno e tornare nella città che fino a dieci giorni fa era decantata in tutto il mondo.
«All'aeroporto - riprende il ragazzo dagli occhi vivacissimi - ho visto tante mascherine e mi sono impressionato, ma poi non ho trovato nient'altro di strano». A parte il rimbombare delle voci sotto le volte altissime. «Pensavo peggio - si congeda - invece non è successo più niente». Parole che sono briciole di speranza fra i numeri di una Caporetto. Sulla navata di destra, entrando dalla piazza, i confessionali sono macchie scure e inanimate. Al box delle audioguide, prima di arrivare agli altari e ai corpi imbalsamati e venerati dei cardinali Ferrari e Schuster, il commesso sembra una statua pure lui. «Oggi - s'immalinconisce - ho fatturato 10 euro contro i 300-400 di media dei feriali. Ho noleggiato un'audioguida più un biglietto per la discesa alla zona archeologica», e al battistero di San Giovanni alle Fonti, dove a Pasqua del 387 si consuma uno degli episodi più strepitosi della civiltà ambrosiana: Sant'Ambrogio che battezza Sant'Agostino. E costruisce un pezzo della nostra identità. Non ci può essere declino per una città che poggia su una storia così grandiosa, ma i pochi turisti continuano a giocare a nascondino con i pilastri, gli altari, le panche. Finalmente dall'altare sotto cui riposa Schuster arrivano echi di una conversazione in inglese.
Paola Raverdino, una delle guide, nomina Mussolini - «do you know?» - che con l'austero monaco benedettino dalla capacità lavorativa leggendaria dovette fare i conti, fino all'omelia del novembre '38 in cui proprio dal pulpito del Duomo Schuster denunciò le leggi razziali; di solito la signora scarrozza gruppi di 20-25 persone, ma questa volta il tour è personalizzato: Gehry e Susan vengono da Singapore, viaggio di nozze, sorrisi e occhi in contemplazione. «Non abbiamo paura, stiamo facendo un giro bellissimo: Roma, Firenze, Milano». E ogni parola si porta dietro un alone di suggestioni ed emozioni fortissime. Lei li guarda affranta: «Abbiamo avuto un crollo delle prenotazioni: meno novanta per cento».
Il Duomo, che nel 2019 era arrivato a oltre due milioni e mezzo di presenze, osserva il futuro come un punto di domanda. Ma i segnali sono contrastanti e non tutti negativi. Una donna peruviana, residente a Milano, quasi spinge una comitiva di connazionali dentro la cattedrale: «Pensi che i miei amici avevano preso i biglietti del Duomo a Lima e pure quelli per andare alla Scala a vedere il Trovatello», che naturalmente è il Trovatore un po' storpiato. «Basta con questo spavento», quasi grida in quell'aria sospesa.
Un giovane restituisce intanto l'unica audioguida noleggiata in questo lunedì scuro scuro. Sorpresa, è italiano, anzi milanese: «Finalmente ho visitato il Duomo. Non ho mai tempo, ma lavoro in università e oggi l'università è chiusa». Sul lato opposto, i pochi fedeli asserragliati, in attesa di capire se e quando le messe feriali riprenderanno, pregano sulla tomba del cardinal Martini.
Ma a bassissima voce, come se la dimensione comunitaria - i rosari declamati e i canti sottolineati e accompagnati dalle note dell'organo - fosse stata amputata. Poi se ne vanno tutti, nella piazza ancora più fredda. Davanti all'interminabile doppia fila dei taxi. Fermi pure loro, in attesa dei clienti spariti chissà dove.
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