E se la smettessimo di parlare (solo) di #Covid?

Da oltre un anno si parla solamente di Covid-19, senza dare lo spazio adatto ad altre notizie. Ma è davvero corretto?

E se la smettessimo di parlare (solo) di #Covid?

Oggi, il professor Alberto Zangrillo ha scritto su Twitter che, dopo mesi, il pronto soccorso Covid del San Raffaele è finalmente vuoto. Una buona notizia, ovviamente temporanea, che fa però il paio con i numeri degli ultimi giorni, che segnano un lento, ma costante, rallentamento del virus.

Siamo dunque fuori dall'emergenza? Certamente no. Però è anche importante sottolineare gli elementi di positività che ci circondano, come ha fatto il professor Zangrillo. Da oltre un anno, infatti, si parla unicamente di Covid-19. Si inizia la mattina con il "toto colori" delle regioni per finire con il bollettino di guerra. Intorno al virus si è ormai creata una vera e propria liturgia che non fa altro che demoralizzare gli italiani. Si dirà: "Ma stiamo combattendo una guerra!". Ammesso e non concesso che quella al Covid-19 sia davvero una guerra, non è demoralizzandosi che si vincono le battaglie.

Immaginiamo di trovarci davvero in mezzo a una battaglia: vorremmo davvero che qualcuno ci tormentasse descrivendo fin nei minimi particolari le armi (nel caso del virus, le varianti) in mano al nemico? Vorremmo davvero che qualcuno ci raccontasse della terribile violenza d'urto della variante britannica senza dirci che nel Regno Unito le cose vanno finalmente bene, nonostante la terribile variante sia nata proprio lì? O ancora: vorremmo davvero impallidire di fronte ai 300mila contagi giornalieri dell'India senza però ricordare che questo gigante asiatico conta più di un miliardo e trecento milioni di abitanti? E infine: perché ogni lunedì dobbiamo sentirci dire che l'Rt è cresciuto (perché i tamponi sono stati molti di meno, essendo la domenica un giorno festivo) e che le riaperture sono a rischio? Sia chiaro: nessuno vuole sottovalutare il virus. Però, se si vuole vincere una guerra senza sprofondare nel panico, bisogna anche essere obiettivi e raccontare le cose come stanno.

Nel suo saggio Sulla viltà. Anatomia e storia di un male comune (Einaudi), Peppino Ortoleva ricorda la figura del caporale Gennaro, mirabilmente descritto da Mario Rigoni Stern ne Il sergente nella neve: "Quando c'erano allarmi o pattuglie russe che molestavano, era tra i primi che uscivano dalla tane per correre nel posto minacciato. Eppure, ne sono certo, dentro di sé tremava come una foglia di betulla". Ed è forse questa l'espressione più alta del coraggio: fare ciò che deve essere fatto nonostante la paura che ti inchioda a terra. Una virtù che si è persa, complice anche, in questo caso, una scorretta informazione che punta più al sensazionalismo che al raccontare i fatti.

Da più di un anno, inoltre, si parla unicamente di Covid-19. Sembra che il mondo, tranne in sporadici casi, si sia congelato e che nulla stia più accadendo. Non è così. Dopo oltre vent'anni, per esempio, gli Stati Uniti sono pronti a lasciare l'Afghanistan, lasciandolo nuovamente nelle mani dei talebani.

Il Regno Unito sta invece dimostrando che si può uscire dall'Unione europea e che, a volte, questo sembra pure convenire. E infine, spostandoci più a Est, vediamo una Cina che corre a più non posso. Tutto si muove, sempre più velocemente. Sarebbe il caso di iniziare a raccontarlo davvero, parlando un po' meno (ma meglio) di Covid-19.

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