Sapete quanto ci costano le parole di Salvini di questi giorni? Quelle sul divieto imposto dai trattati europei di sforare il 3% del Pil con il deficit pubblico? «Non solo si può, ma si deve», ha detto Salvini. Sette parole. Costo per gli italiani: 10 miliardi. Più di un miliardo a parola. In tutto più dello 0,6% del citato Pil, il prodotto nazionale che con tanta fatica dovrebbe crescere, a fine anno, se tutto va bene, da un minimo dello 0,1 a un massimo dello 0,4 per cento. Naturalmente non siamo nel campo della scienza esatta. Ma il calcolo finanziario sui danni prodotti ai conti pubblici dalle esternazioni di questo tipo è presto fatto: quando il vice primo ministro, nonché leader del partito di maggioranza in pectore del Paese, manda un messaggio di questo tipo, i casi sono due: o parla a vanvera; o annuncia che l'Italia non rispetterà i trattati europei. E dunque i vincoli di bilancio sui quali si fonda la tenuta dell'economia dell'eurozona e della moneta unica. Per l'Italia significa allarmare investitori e detentori del nostro debito pubblico, che diventa immediatamente più rischioso. La temperatura di tale rischio la misura lo spread, cioè la differenza di rendimento tra i nostri Btp e i Bund tedeschi. Ebbene, dal primo maggio - quando la campagna elettorale è entrata nel vivo - a ieri, le posizioni leghiste culminate con le parole di Salvini hanno portato lo spread da zona 250 punti, a quota 290. Sono 40 punti in più, circa. In altri termini, un investitore che fino ad aprile chiedeva, mediamente, al rendimento dei titoli italiani un premio del 2,5% annuo, ora chiede di più: 2,9 per cento. E per sapere quanto costa a noi cittadini questa variazione dello spread, bisogna guardare in avanti: il costo aggiuntivo è dato dai maggiori interessi che lo Stato dovrà pagare sulle prossime emissioni di debito pubblico (quelle già esistenti continuano a costare come prima). Ebbene, i circa 2.400 miliardi di debito esistente è distribuito su titoli che in media durano sette anni. Quindi ogni anno lo Stato deve emettere all'incirca 340 miliardi di nuovi titoli, per sostituire quelli che scadono. Allora quei 350 miliardi di nuovi titoli di Stato costeranno 40 punti base in più, lo 0,4%, pari a 1,4 miliardi. Per quanto tempo? Mediamente, si è detto, per sette anni. Quindi il conto fa quasi 10 miliardi. Questo è quello che succede. Anzi, quello che è già successo l'anno scorso, quando dopo la nascita del governo gialloverde, le frequenti esternazioni di vari suoi autorevoli rappresentanti hanno lentamente condotto lo spread dai 130 punti in cui stava in aprile-maggio, fino alla zona 250 dove si era assestato. Una galoppata causata da due ordini di dichiarazioni: quelle che insistevano sulla uscita dall'euro e quelle che ipotizzavano (come questa di Salvini) lo sforamento dei vincoli di bilancio europeo su deficit e su debito pubblico. L'effetto di quelle esternazioni si è già visto ed è stato calcolato dall'Osservatorio conti pubblici di Carlo Cottarelli: con lo spread a 250, il costo per maggiori interessi nel periodo 2018-2021 sarà di 20 miliardi.
Ma con lo spread a 280-290 può arrivare fino a 30. Di questi, quelli realmente acquisiti (cioè effettivamente a carico di emissioni effettuate in questi ultimi mesi) ammontano già a 4,3 miliardi. Una cifra che, purtroppo, non è una stima.
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