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Election day. Così Giuseppi boicotta le larghe intese

Alle prese con le ben più serie e decisive questioni europee, Giuseppe Conte è costretto a occuparsi anche delle faccende italiane

Election day. Così Giuseppi boicotta le larghe intese

Alle prese con le ben più serie e decisive questioni europee, Giuseppe Conte è costretto a occuparsi anche delle faccende italiane. Che, sempre di più, s'intrecciano con le manovre di chi immagina un nuovo esecutivo per gestire la cosiddetta «fase due» e l'inevitabile crisi economica che seguirà al lockdown. Di certezze ce ne sono poche, anche perché mancano ancora alcuni tasselli decisivi per ragionare seriamente in prospettiva. A partire dalle conclusioni del prossimo Consiglio Ue dove si discuterà (...)

(...) di Mes e Recovery fund.

Ma non c'è dubbio che in molti ambienti, ormai da settimane, si valutino scenari alternativi al Conte 2, troppo condizionato dalle divisioni interne al M5s (con Luigi Di Maio concentrato sul riprendersi la leadership del Movimento) e dalle conseguenti tensioni tra grillini e dem. Lo scontro sul Mes ne è la fotografia più implacabile. Ne è ben consapevole il premier, che anche per questo sta cercando di correre ai ripari e sta provando a tenere aperto un canale di dialogo con una parte dell'opposizione. Superfluo dire, infatti, che se a maggio il Parlamento dovesse finalmente pronunciarsi sul Fondo salva stati (se, come sembra, il Consiglio Ue di giovedì andrà in questa direzione) i voti di Forza Italia possono fare comodo e tamponare le eventuali diserzioni di un pezzo del M5s. Anche se fosse, però, la prospettiva di un governo di unità nazionale con tutti (o quasi) dentro resterebbe sul tavolo. Soprattutto se dovessero continuare le tensioni tra M5s e Pd e se la crisi diventasse economicamente ingestibile.

Ecco perché in molti hanno visto nella decisione del Consiglio dei ministri di rinviare le elezioni regionali a dopo l'estate una mossa per stabilizzare l'esecutivo e, soprattutto, mettere una zeppa sulla strada di possibili esecutivi di salute pubblica. La tornata elettorale coinvolge ben sei regioni - Campania, Liguria, Lombardia, Puglia, Toscana e Veneto - per un totale di oltre venti milioni di italiani. E nonostante da settimane alcuni governatori chiedessero di votare a luglio, Palazzo Chigi ha scelto di posticipare tutto al prossimo autunno. Con buona pace di Vincenzo De Luca (Campania), Giovanni Toti (Liguria) e Luca Zaia (Veneto), in prima linea da giorni per limitare il più possibile il rinvio. Anzi, proprio il loro pressing bipartisan aveva portato il governo a mettere sul tavolo l'ipotesi di una «finestra» allargata da luglio a novembre. Che è andata a sbattere contro le resistenze di Palazzo Chigi e del ministro della Salute Roberto Speranza, oltre che del blocco governativo grillino. Così, è finita che si potrà votare tra settembre (tecnicamente dal 9 agosto, ma sarebbe davvero da ridere) e novembre. Con il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà che ipotizza un election day «tra settembre e ottobre» per votare insieme Regionali, Amministrative e referendum per il taglio dei parlamentari. «Sarebbe un risparmio in termini di tempo e risorse», fa presente D'Incà.

Verissimo. Come non c'è dubbio che un election day in pieno autunno (oltre alle sei Regioni, andranno alle urne più di 1.100 Comuni, di cui 18 capoluogo di provincia e tre capoluogo di regione) sarebbe un gigantesco macigno sulla strada di un possibile esecutivo di unità nazionale. È del tutto evidente, infatti, che concentrare tutti gli appuntamenti in un unico giorno non farebbe che polarizzare lo scontro, con una campagna elettorale a tambur battente. Creando quindi un clima in cui sarebbe ancora più complicato dare vita a un governissimo che già adesso ha diverse controindicazioni. Il principale e naturale candidato a Palazzo Chigi, in un simile scenario, sarebbe Mario Draghi, certamente l'italiano più autorevole nel mondo. I rumors dicono che l'ex presidente della Bce non sarebbe disponibile e che già si stia ragionando sul altri nomi. Che - se mai davvero si concretizzasse lo scenario in questione - avrebbero tutti lo stesso dubbio di Draghi: quanto è stabile un esecutivo che si regge su una maggioranza dove convive la spinta europeista di Pd e Forza Italia e quella sovranista ed euroscettica di M5s (o quel che ne resterà) e Lega? Perché è chiaro che un simile governo potrebbe esserci solo a condizione che ne facesssero parte tutti, tranne Fdi che ha già messo in chiaro di non essere disponibile.

Ecco, aggiungere a questa miscela già di per sé esplosiva la mina di un election day con Regionali, Amministrative, referendum sul taglio dei parlamentari e relativa campagna elettorale significa complicare non poco un eventuale scenario di larghe intese.

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