Cronache

L'imbalsamatore sul set con la Bouchet: la storia del "nano di Termini"

La storia di Domenico Semeraro, conosciuto come il "Nano di Termini", che da comparsa al cinema venne ucciso e il suo corpo gettato in una discarica

La scena del film "Non si sevizia un paperino" in cui recitano Domenico Semeraro e Barbara Bouchet
La scena del film "Non si sevizia un paperino" in cui recitano Domenico Semeraro e Barbara Bouchet

Il soprannome “Nano di Termini” è legato indissolubilmente alla cronaca nera e al cinema.

Nella carriera di Barbara Bouchet si annoverano due film con altrettante scene particolarmente iconiche. Una è quella del ballo esotico in “Milano Calibro 9”. L’altra è quella in cui, mentre sta facendo la lampada integrale, irrompe nella stanza un bambino, Michele nella finzione scenica, per portarle un bicchiere d’aranciata. Il bimbo si muove a testa bassa, evitando di guardare il suo splendido corpo. Ma poi è lei stessa a invitarlo a guardare, ad avvicinarsi curvo con il vassoio. Questa seconda scena stracult è inserita in una splendida pellicola di Lucio Fulci dal titolo “Non si sevizia un paperino”. Stracult però lo è diventata specialmente col tempo, perché all’epoca in cui il film uscì, alla fine del 1972, più di qualcuno sollevò il sopracciglio, per usare un eufemismo, tanto che all’inizio del 1973 il produttore Edmondo Amati, il regista e la stessa Bouchet furono convocati in tribunale per rispondere del presunto utilizzo di un bambino in una scena vietata ai minori. Ma è qui che salta fuori per la prima volta nella storia della cronaca giudiziaria nazionale il nome di Domenico Semeraro, alias il Nano di Termini.

L’uomo del cinema

Fulci era un maestro nel mostrare sullo schermo ciò che non era. E anche quella volta la sua arte ebbe la meglio. Nella scena si vede qualcosa che non è mai accaduto, perché l’attore bambino e Barbara Bouchet non sono mai stati insieme sul set mentre l’attrice era nuda. In un paio di piccole sequenze di montaggio si vedono Michele di spalle e Bouchet, ma Michele, in quelle sequenze non è l’attore bambino che gli diede il volto, bensì una controfigura, un uomo alto un metro e trenta, di nome appunto Domenico Semeraro.

La figura di Semeraro è legata a doppio filo con il cinema. Innanzi tutto la storia vera alla base di “Non si sevizia un paperino” è ispirata alla vicenda di cronaca che vide coinvolta una sua antenata. In secondo luogo, nel 2002 Matteo Garrone girò il film “L’imbalsamatore”, vagamente ispirato alla vicenda di cronaca nera che mise fine alla vita del Nano di Termini. Sono diversi i nomi però, e il protagonista Peppino Profeta è interpretato da Ernesto Mahieux.

Ernesto Mahieux ritira il David di Donatello per "L'imbalsamatore"
Ernesto Mahieux ritira il David di Donatello per "L'imbalsamatore"

La vera storia del Nano di Termini

Non si conosce moltissimo di Domenico Semeraro. Nacque a Ostuni nel 1946: sua nonna era Maria Giuseppina Semeraro, detta “nonna belva”. Come riporta Spazio70, nel Bitontino ci furono 5 infanticidi e la donna fu accusata di uno di questi, “quello del suo nipotino Giuseppe, di appena un mese, gettato e lasciato annegare in un pozzo di acqua fetida e stagnante”.

Semeraro, da grande, divenne un imbalsamatore, ma fu anche segretario all’Istituto per la cinematografia “Roberto Rossellini”, come riporta Misteri d’Italia. È qui che conobbe numerosi produttori e venne a contatto in prima persona con il mondo del cinema. Tuttavia l’incontro cruciale della sua vita avvenne solo nel 1986, quando Semeraro conobbe Armando Lovaglio, un giovane che lo aiutava nel suo mestiere di imbalsamatore. L’incontro tra i due fu cruciale, perché Lovaglio, quattro anni dopo, provocherà la morte di Semeraro.

Tra Lovaglio e Semeraro si avvia un’amicizia, che a un certo punto viene turbata da Michela Palazzini, con cui Lovaglio ha una storia sentimentale sempre più stretta. Si è sempre detto che Semeraro fosse omosessuale, ma nel suo orientamento sessuale era previsto il gradimento anche per le donne, per cui Semeraro, Lovaglio e Palazzini danno vita a un menage a trois affettivo, che però è guidato anche da gelosie e risentimenti.

L’omicidio

Il cadavere di Domenico Semeraro viene rinvenuto in un sacco della spazzatura il 26 aprile 1990, in una discarica abusiva sulla Prenestina. È stato picchiato e poi strangolato con un foulard. “Era una notte come tante altre - ha raccontato Lovaglio a Misteri d’Italia - solo che si era arrivati a un punto di rottura che lui, Mimmo, non voleva accettare. Era da parecchio tempo, ormai, che gli andavo dicendo che così non poteva continuare, che io avevo la mia vita e che lui non doveva appropriarsene; c'era anche Michela di mezzo, della quale mi ero innamorato, e non volevo che tutto finisse per quella situazione. Perché era troppo pesante, perché... Per tanti motivi. Così, a un certo punto, Mimmo volle telefonare a Michela: voleva, ci disse, un chiarimento a tre. Per un momento ho creduto che davvero avesse intenzione di chiarire e basta, di risolvere, di mettere a posto. Fatto sta che non ci riuscì. Anzi, ottenne l'effetto contrario. Perché cominciò a insultare, a minacciare... Era fuori di sé…”. Lovaglio ha affermato che quella notte non avrebbe voluto uccidere Semeraro, ma che il Nano di Termini prese un bisturi, scatenando la sua reazione.

Lovaglio viene ritenuto colpevole di omicidio e occultamento di cavadere il 13 maggio 1991. Palazzini viene condannata invece solo a un anno per il solo occultamento di cadavere. I due avevano all’epoca, rispettivamente, 22 e 21 anni. In carcere a Rebibbia, Lovaglio si diplomò e si iscrisse all’università, alla facoltà di Psicologia, come raccontò nella succitata intervista a Misteri d’Italia. Come riporta Cinefacts, Lovaglio uscì di prigione al termine della sua pena. Ha gestito una scuola di arti marziali e quando fu distribuito “L’imbalsamatore” di Garrone ne chiese il sequestro appellandosi al diritto all’oblio.

Lovaglio è morto nel 2017, all’età di 49 anni.

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