Cronache

"Covid? Noi qui siamo esausti..." La "zona hot" della vergogna

Alle porte del centro storico di Firenze, lo sfruttamento della prostituzione è una realtà dura a morire, decine e decine di ragazze si vendono in strada sotto gli occhio dei passanti che ora chiedono aiuto

"Covid? Noi qui siamo esausti..." La "zona hot" della vergogna

“Non riprendere perché chiamo il capo”. Dalla parte opposta rispetto a noi sul marciapiede che costeggia il viale una ragazza dell’est ci grida a squarciagola di abbassare la telecamera. “Sto lavorando”, ci spiega. Poi, minaccia di chiamare il suo protettore. Sono le 22 di giovedì sera quando la incontriamo assieme alle sue “colleghe” appostata sul ciglio della strada in cerca di clienti. Per le vie del quartiere girano ancora le famiglie con i bambini. Ha fatto buio da poco e la temperatura primaverile favorisce le passeggiate.

“Ogni sera devo spiegare a mio figlio, che ha sei anni, cosa stanno facendo quelle ragazze seminude in mezzo di strada. La mattina quando mi sveglio spero di non trovare i preservativi accanto alle aiuole sotto casa. La situazione è diventata ingestibile qua”, Giulia vive a pochi metri da quello stradone dove lo sfruttamento della prostituzione ha preso piede da decine di anni ormai. Siamo a Novoli, in uno dei quartieri che costeggiano il centro storico fiorentino, dove le nuove opere come il più recente palazzo di giustizia non sono riuscite nel tentativo di riqualificazione dell’intera zona. Lo spaccio alle cascine, la prostituzione sui viali, è lì che si concentra il degrado di una delle città d’arte più belle d’Italia.

Giriamo l’angolo e proseguiamo sul viale perpendicolare, davanti all’entrata del polo universitario. Dobbiamo nuovamente abbassare la telecamera, ma questa volta le ragazze sudamericane raccontano in breve il loro mondo. “Non hai paura del Covid?” le chiedo. “Certo che ho paura, ma nessuno ci aiuta. É l’unica cosa che possiamo fare”, mi dice una tra le più giovani, mentre guarda la strada in pantaloncini e reggiseno. Di trovare un altro lavoro non se ne parla. “Non ho documenti ed è difficile ottenerli”, mi spiega. “E la polizia?”, le chiedo. “Certe volte passa e ci porta in questura, fa il verbale e ci lascia andare”.

Questa sera però nessuna pattuglia si aggira per la zona, almeno nell’ora in cui noi de IlGiornale.it vi abbiamo fatto visita. Gli stradoni illuminati sono un via vai continuo di macchine che sfrecciano a velocità sostenuta, mentre le ragazze a qualche metro di distanza l’una dall’altra formano l’angosciante fila indiana che parla di sfruttamento e illegalità. Neanche il Coronavirus ha fermato la prostituzione a Firenze. Neanche la pandemia è riuscita a fare scappare quelle donne fragili e inermi che hanno deciso di vendere il loro corpo per guadagnarsi qualche soldo.

“Noi cittadini onesti siamo costretti a rispettare le regole, siamo tutti senza lavoro, non è arrivato un aiuto dallo Stato in grado di essere chiamato tale e ci multano persino se entriamo nei locali senza la mascherina o facciamo assembramento fuori dalle chiese, mentre loro seminano sporcizia ogni notte, in barba alla legge e senza che nessuno dica niente. Siamo al paradosso”, si sfoga Tiziano, un residente della zona che ha avuto la sfortuna di vivere in un appartamento in una stradina stretta nelle retrovie. Un posto perfetto dove incontrare i clienti per le ragazze della strada incuranti del rispetto altrui. Irrispettose di chi la mattina non vorrebbe mai assistere ai retroscena di uno spettacolo indegno.

Il fenomeno della prostituzione a Firenze va avanti ormai da anni. “Da sempre” osa dire Alessandro Draghi, consigliere comunale di Fratelli d’Italia. L’amministrazione della città rossa cercò di fare qualcosa nel lontano 2007. “Facendo un’ordinanza severa ma che puniva più i clienti che le donne”, spiega Draghi. Multe salate a chi consumava in macchina con le lucciole. Prostituirsi non è un reato, compiere atti osceni sì. Sembrava essere questo il controsenso esplicitato con l’ordinanza del Comune di Firenze che puntava a perseguire chi "consuma" la prestazione in pubblico.

Quel che è stato è stato, come si usa dire, ciò che è certo è che fino ad ora non è servito.

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