Trump alza la voce con l'Europa: "Dazi al 35% se non investe in Usa"

Il presidente minaccia tariffe al 250% sui farmaci: "Devono essere prodotti qui". Poi annuncia un incontro con Xi. Indifferenti i mercati che chiudono poco mossi

Trump alza la voce con l'Europa: "Dazi al 35% se non investe in Usa"

Come se nulla fosse accaduto. La reazione più sorprendente alle dichiarazioni del presidente Trump sui dazi è stata la sostanziale indifferenza dei mercati. Come se fra una minaccia di inasprimento e un'iperbole utilizzata per indurre le controparti a più miti pretese non vi fosse soluzione di continuità. Eppure le parole del tycoon non sono state per nulla lievi, more solito.

A Washington Trump è tornato a sparare a zero sull'Unione europea, minacciando nuovi dazi se Bruxelles non manterrà gli impegni d'investimento negli Stati Uniti. "L'Ue ci ha assicurato 600 miliardi di dollari per farci quello che vogliamo", ha detto a Cnbc. "Se non rispettano l'accordo, allora scatteranno tariffe al 35% sui loro prodotti". In un crescendo di toni, l'inquilino della Casa Bianca ha poi rivolto il mirino al settore farmaceutico. "Applicheremo inizialmente una tariffa modesta sui prodotti farmaceutici, ma entro un anno, un anno e mezzo al massimo, salirà al 150% e poi al 250%, perché vogliamo che i prodotti farmaceutici siano fabbricati nel nostro Paese", ha aggiunto. E ha annunciato l'arrivo di nuove misure protezionistiche anche sui semiconduttori. "Faremo un annuncio su semiconduttori e chip, che sono una categoria separata, perché vogliamo che siano prodotti negli Stati Uniti", ha proseguito Trump, promettendo un pacchetto di dazi già "entro la prossima settimana".

La reazione? Le Borse europee chiudono in ordine sparso, segnando una giornata che, almeno sui mercati, ha registrato più indifferenza che nervosismo. Francoforte ha chiuso in rialzo dello 0,37%, mentre Parigi ha ceduto lo 0,14% e Londra si è mantenuta sulla parità con un +0,16%. Idem per Milano. Anche a Wall Street i principali indici a meno di un'ora dalla chiusura segnalavano variazioni nell'ordine di uno o due decimali di punto. Nemmeno il mercato valutario o quello delle materie prime sembrano aver reagito in modo significativo. L'euro si è rafforzato leggermente sul dollaro (1,1578), mentre il petrolio ha continuato a perdere terreno con il greggio texano Wti a 65,3 dollari il barile (-1,5%) e il Brent norvegese a 67,8 dollari (-1,4%). Lieve rialzo per il gas naturale a 34,45 euro/Megawattora sulla piazza di Amsterdam. Certo, è agosto e gli scambi sono naturalmente ridotti ma in altri tempi si darebbe manifestato un maggiore nervosismo.

Ecco perché in Europa le cancellerie non si sono lasciate travolgere dall'onda dell'emozione. Le cancellerie europee non restano ferme. Anzi, dopo aver rinviato i controdazi (che avrebbero colpito 93 miliardi di beni americani dal 7 agosto), Bruxelles ha fatto sapere di essere ormai a un passo dalla formalizzazione dell'intesa sulle tariffe al 15 per cento. Senza fare un plissé.

Ma Trump rilancia, ancora una volta. Dopo aver minacciato l'Europa, ha colpito duro anche l'India. "Stanno alimentando la macchina da guerra" acquistando petrolio dalla Russia, ha detto. "Se lo faranno, allora non sarò contento". Da qui l'annuncio di un aumento "sostanziale" dei dazi sulle merci indiane, che supereranno l'attuale livello del 25% già "nelle prossime 24 ore". Intanto, anche la Svizzera finisce nel mirino. Dopo l'annuncio a sorpresa di nuovi dazi doganali del 39% su merci elvetiche (tra cui cioccolato e orologi), una delegazione di alto livello guidata dalla presidente Karin Keller-Sutter e dal ministro dell'Economia Guy Parmelin è volata a Washington per negoziare. L'aliquota prevista dagli Stati Uniti nei confronti della Confederazione supera di oltre due volte e mezzo quella applicata all'Unione Europea e mette in forte difficoltà settori-chiave dell'export elvetico.

Trump si fa forte anche dei dati macroeconomici che, inflazione a parte, sono generalmente positivi. Ieri è stata la volta della bilancia commerciale: a giugno il deficit statunitense è sceso ai livelli più bassi da settembre 2023. Il disavanzo si è ridotto a 60,2 miliardi di dollari, dai 71,7 del mese precedente, grazie al calo delle importazioni (-3,7%) e a un deficit nei beni in forte discesa (-11,4 miliardi). I dati confermano un trend che l'amministrazione Trump rivendica con forza come effetto diretto delle sue politiche protezionistiche, in particolare del riequilibrio nei confronti della Cina, con cui il disavanzo si è ridotto da 14 a 9,4 miliardi di dollari nel giro di un solo mese.

Il presidente americano ha colto la palla al balzo. "Siamo vicini a un accordo con la Cina", ha dichiarato. "Penso che sarà un buon accordo", ha proseguito aggiungendo che il presidente Xi Jinping (in foto) "ha chiesto un incontro" e che lui è pronto a volare a Pechino "una volta trovata l'intesa", pur ammettendo che "è un volo lungo". Parole che, come sempre, mescolano strategia negoziale, calcolo elettorale e una dose non indifferente di spettacolarizzazione.

Ma che, a giudicare dalle reazioni dei mercati, sembrano ormai parte di un copione consolidato. Una trama che, però, potrebbe non piacere ai settori produttivi, impossibilitati a programmare proprio per i continui coup de théâtre.

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