
Dalla strage di Bologna al dibattito sulla "matrice" dei fatti più sanguinosi degli anni di Piombo, anche quest'anno l'anniversario della bomba del 2 agosto 1980 alla stazione centrale del capoluogo emiliano si è trasformato in un j'accuse nei confronti della premier Giorgia Meloni, tacciata - da Paolo Bolognesi - di provenire dallo stesso "passato da cui provengono gli esecutori delle stragi". Con lei, sul banco degli imputati, il Movimento Sociale Italiano. Era proprio questo il tema della discussione andata in scena domenica sera negli studi di In Onda, su La7.
A diventare "virale" un passaggio del talk show, con protagonista Paolo Mieli. L'ex direttore del Corriere della Sera, tra gli sguardi stupefatti di ospiti e conduttori, ha scardinato la narrazione, a volte semplicistica, dietro agli aggettivi con cui si potrebbero qualificare gli attentati e gli omicidi di quella stagione oscura degli opposti estremismi. Ecco Mieli, in purezza: "Nessuno chiama i reati dei terroristi di sinistra comunisti, nessuna sentenza né targa che dice qui ci fu una strage comunista, qui i comunisti ammazzarono Aldo Moro". Touché. A quel punto scatta la reazione. "Eh, però", dice la conduttrice Marianna Aprile. Il suo collega, Luca Telese, domanda a Mieli, riferito a una ipotetica targa sulle "stragi comuniste": "Dovrebbe esserci?" Il giornalista risponde e chiarisce: "No, non dovrebbe esserci, secondo me no". Quindi prende subito la parola Giovanna Botteri, incalzante. "Anche perché le Brigate Rosse hanno ucciso i comunisti - ribatte l'ex corrispondente della Rai - nel momento più duro della lotta armata, uccisero Guido Rossa". Mieli tiene ancora la barra dritta: "Purtroppo nella storia dal 1917 è un classico, hanno ucciso più comunisti i comunisti di quanti ne abbiano uccisi gli anticomunisti". "Ma qui non era Pol Pot, era colpire il Partito comunista in quanto considerato traditore di classe", obietta rapido Telese. Poi Mieli: "Pure questi lo facevano contro il Movimento Sociale, considerandoli dei traditori, è complicata la storia" Vicende complesse, proprio come quella del sindacalista Rossa. Fatti che accadono a ottobre del 1978, pochi mesi dopo il ritrovamento del corpo di Moro. Fu in quel periodo che il sindacalista Cgil all'Italsider di Genova, insieme ad altri compagni, notò che un operaio distribuiva volantini delle Br all'interno della fabbrica. Rossa segnala l'accaduto alla vigilanza aziendale, viene aperto l'armadietto dell'operaio, Francesco Berardi, dove c'è del materiale brigatista. Si passa alla denuncia ai carabinieri, ma a firmarla è solo Rossa, mentre gli altri due delegati sindacali si rifiutano. Paura, timidezza o indulgenza, Rossa diventa così un bersaglio unico e viene ucciso dalle Br il 24 gennaio del 1979.
Dopo giorni di accuse al Msi e dunque, a cascata, a Fratelli d'Italia e Meloni, a La7 il dibattito prosegue sulla stessa falsariga. "Comunque è un fatto che nessuno definirà mai un reato comunista una cosa fatta dalle Brigate Rosse", insiste Mieli, contestando il parallelismo tra la storia dei Nar e quella dei missini, alla base delle recenti critiche a Meloni. "I comunisti presero le distanze da quel fenomeno", è l'altra obiezione di Aprile. "Anche i missini presero le distanze da questa roba qua", non molla Mieli.
E, davanti a Botteri che non si arrende "Mambro e Fioravanti si richiamavano all'ideologia fascista", il direttore non esita: "Perché Curcio e Franceschini non si richiamavano a valori comunisti? I reati rossi non si chiamano comunisti, i reati neri si chiamano fascisti". Gelo, giù le luci dello studio.