Giravolta del giustizialista Grillo: diffama e poi sfrutta la prescrizione

Giravolta del giustizialista Grillo: diffama e poi sfrutta la prescrizione

«La prescrizione, in Italia, è l'àncora di salvezza dei delinquenti. Oggi, un delinquente che è stato beccato inconfutabilmente con le mani nella marmellata, fa di tutto per allungare i tempi processuali e ottenere la prescrizione del reato. Il M5s, fin dal primo momento in cui è entrato in Parlamento, ha proposto di interrompere la prescrizione dal momento del rinvio a giudizio per tutta la durata del processo. È una norma semplice ed efficace che impedirebbe numerosissime ingiustizie. Quando un reato si estingue per prescrizione, lo Stato fallisce due volte: una perché non è riuscito ad accertare la verità; un'altra volta perché viene cancellato tutto l'impegno profuso da giudici, avvocati, cancellieri, inquirenti, ecc., con un inaudito sperpero di denaro pubblico. Tra imprenditori e politici, coloro che hanno usufruito, a vario titolo, della prescrizione sono tantissimi (solo per fare alcuni esempi: de Benedetti, Berlusconi, Andreotti, Calderoli, D'Alema). La prescrizione deve interrompersi dopo il rinvio a giudizio: chiediamo al governo di mantenere i propri impegni!». Così tuonava Alfonso Bonafede, probabilmente in un discorso alla Camera dei deputati, com'è riportato sulla pagina del 24 ottobre 2015 del blog del suo intimo amico, Beppe Grillo. Bonafede è ministro della Giustizia da molti mesi, ma ieri, 3 aprile, Beppe Grillo ha avuto estinto uno dei suoi tanti reati di diffamazione, proprio per prescrizione. Più precisamente è lo stesso Grillo che, prostratosi in ginocchio innanzi ai giudici della Corte di Cassazione ha chiesto e ottenuto di avvalersi di una prescrizione che, solo per mero vizio formale del Tribunale di Ascoli Piceno gli è stata, obtorto collo, riconosciuta.

Ecco i fatti. Nel 2011 Grillo, in pubblico comizio a San Benedetto del Tronto, pronunciava gravissime parole infamanti nei miei confronti, accusandomi di mentire perché sarei al soldo di multinazionali non meglio specificate: comunque al soldo dei cattivi. Posto che io insegno a 400 studenti l'anno che pagano le tasse, e che l'università mi paga uno stipendio, c'è un sacco di gente desiderosa di sapere se è vero che io insegni cose false perché qualcuno mi paga. Onde per cui, mio malgrado, ero stato costretto a querelare Beppe Grillo, non certo per avermi egli apostrofato, in quel comizio, «coglione» (che ci può stare), o per avermi minacciato di prendermi a calci in culo e di sbattermi in galera, nonché informato che mi avrebbe impedito di partecipare a interventi pubblici in tv («come si faceva ai tempi del fascismo con gli antifascisti», precisò il comico).

Il pubblico ministero di Ascoli Piceno, in seguito alla mia querela, rinviava Grillo a giudizio non per diffamazione, ma per diffamazione aggravata dalla recidiva (pare che Grillo avesse dato della «vecchia puttana» al premio Nobel Rita Levi Montalcini e avesse dovuto patteggiare la pena). A causa della recidiva, la prescrizione di Grillo si sarebbe estesa a 9 anni. Però, il giudice di primo grado, nel comminargli la pena di un anno di reclusione, si dimenticava, per quel che capisco io, di specificare nella sentenza che la pena comminata teneva conto dell'aggravante della recidiva. Ma era evidente che ne stava tenendo conto, vista la severissima pena (tant'è che il Pm di primo grado, quello che aveva rinviato Grillo a giudizio «per diffamazione aggravata dalla recidiva», aveva chiesto seimila euro di ammenda). Pur Grillo assente, ieri in Cassazione se ne respirava nell'aria la presenza querula e piagnucolante: anziché rinunciare alla prescrizione come un minimo di coerenza e decoro gli imponevano, il comico implorava l'Alta corte di tener conto del fatto che la dimenticanza del giudice di Ascoli Piceno comportava, a norma di legge, che la pena non stava sottintendendo alcuna aggravante per recidiva e, di conseguenza, il proprio reato andava dichiarato bell'e prescritto. Inoltre, in sede di Cassazione, Grillo ricorreva adducendo un'altra mezza dozzina di ragioni, nessuna delle quali è stata dall'Alta corte accolta. A parte il cavillo della recidiva. Per farla breve, tutti i tre gradi di giudizio hanno confermato il reato di diffamazione di Grillo, ma siccome sono trascorsi i termini della prescrizione del reato senza recidiva (anche se il comico è recidivo), il reato di Grillo è estinto. Egli non deve pagare allo Stato alcunché, neanche i 6000 euri comminatigli dalla Corte d'appello di Ancona.

A me rimane l'amarezza non certo edulcorata dalla piccola provvisionale ricevuta grazie al tenace impegno dei miei legali, i bravissimi Cesare Placanica e Lauretta Giulioni che codesto individuo maleducato non ha neanche sentito il bisogno di chiedere scusa: le persone normali lo fanno anche solo per una gomitata inavvertitamente inferta.

E mi rimangono ancora due domande: primo, come mai il ministro della Giustizia grillino ha idee diverse dalle mie sulla prescrizione; e, secondo, mi chiedo se Luigi Di Maio espellerà Beppe Grillo dal Movimento dei grillini con la stessa prontezza esercitata verso tale Marcello De Vito che, mi risulta, pur accusato di ordinarie nefandezze, non è stato condannato a niente. Me lo voglio proprio vedere questo film.

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