Strano che la giustizia e il diritto vengano sempre richiamati per gli altri. Al presidente del Senato Casellati si rimprovera di appartenere «all'area di Silvio Berlusconi e al suo entourage di cui il nuovo presidente è stato uno dei più convinti e radicali esponenti proprio sui temi della giustizia, tanto da spingere qualche biografo a usare per lei il termine pasdaran».
Chi dice questo è Gian Carlo Caselli, al cui entourage appartiene Antonio Ingroia, indagato per peculato e a cui la magistratura ha sequestrato 150mila euro. Certo, non è ancora stato condannato e può - come Berlusconi - lamentare l'accanimento della magistratura, ma i costumi dell'allievo non rendono certo onore al maestro che non è stato per lui modello di «dura fatica» e di «rinunzie», pur con l'assistenza di servizievoli scorte e di aerei di Stato.
Chi oggi censura il presidente del Senato è responsabile, con Ingroia, di gravi violazioni dei diritti umani, avendo tenuto in carcere (da innocente) Bruno Contrada che, secondo la sentenza della Corte europea, non doveva essere giudicato.
Ha educato i suoi allievi a coltivare un'azione giudiziaria su ipotesi di reato inesistenti nel nostro codice, come il concorso esterno in associazione mafiosa, applicato a statisti come Giulio Andreotti, giudicati poi innocenti, o a autentici nemici della mafia come il generale Mori, perseguiti con accanimento dagli allievi di Caselli, o a uomini come Dell'Utri, costretti al carcere nonostante le gravi malattie. A questo cultore dei diritti umani non piace la Casellati e a noi non piace lui.
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