La riflessione sulla crisi della legge è stata ed è tuttora per me particolarmente utile, nei diversi (e non pochi) momenti di maggior difficoltà del mio impegno culturale, professionale, sociale e umano. Fra essi, soprattutto da ultimo quelli che segnano l’attuale nuova e drammatica esperienza del coronavirus e del suo impatto con il nostro modo di vivere e di relazionarci con gli altri. Ho cercato perciò di riflettere – con autorevoli maestri – sui diversi aspetti di quell’impatto; in particolare sugli aspetti di esso in cui ho maturato una qualche esperienza nel diritto penale. Si tratta della legge, prima di tutto quella costituzionale, e della sua crisi. Segue logicamente ad essa la crisi del giudice, con il mutamento del suo ruolo a favore del “soggettivismo interpretativo” e del mancato rispetto della formulazione legislativa; con riflessi evidenti per la richie sta di giustizia e di fiducia da parte dell’opinione pubblica e della società. Segue altresì la crisi del processo, dei suoi strumenti e delle loro deformazioni, come momenti di applicazione e di vita concreta della legge.
La crisi della legge e quella del processo sono fra loro strettamente connesse. La prima incide sulla prevedibilità e ragionevole “calcolabilità” dell’esito del secondo alla luce del diritto positivo e dei precedenti. Essa condiziona perciò la capacità di decisione e di scelta nelle diverse possibili alternative: da quelle di condotta personale a quelle di gestione economica e imprenditoriale. La seconda crisi incide sulla durata e sul tempo di attesa della definizione del processo, che influenzano anche essi la valutazione sulle decisioni da assumere in via preventiva.
Prevedibilità e tempo sono due elementi essenziali e richiesti anche dalla Unione Europea per valutare l’attendibilità, l’efficacia e la competitività di qualsiasi sistema giudiziario, soprattutto in un contesto di globalizzazione e di forum shopping come quello attuale.
Si tratta poi della crisi e della degenerazione della pena, dei suoi riflessi sulla dignità delle persone, sui suoi fini e sulla sua efficacia. Infine si tratta della crisi del reato; del suo modo di concepirlo, formularlo e sanzionarlo; degli obiettivi di tutela (la ratio, il bene giuridico e l’interesse tutelati, per dirlo con i tecnici); dei risultati in cui si risol vono le scelte di politica criminale.
Non intendo ovviamente proporre né un’analisi tecnica e specialistica (ve ne sono anche troppe); né una sorta di baedeker o di riassunto CETIM della giustizia e dei suoi problemi. Più semplicemente intendo proporre alcuni spunti per una riflessione sugli aspetti più preoccupanti di quella che ormai viene chiamata abitualmente la “crisi della giustizia” in modo generico e onnicomprensivo.
Mi riferisco agli aspetti di quella crisi che preesiste vano all’irrompere del coronavirus e sono legati non da ora alla precarietà e fragilità della situazione politica, economica, istituzionale, sociale e valoriale del nostro Paese e delle sue diverse istituzioni. Ma mi riferisco altresì agli aspetti di crisi che sono stati enfatizzati e posti in luce (non creati; v’erano già, magari latenti) dalla pandemia.
La demolizione del tessuto istituzionale di questo Paese – che adesso ha raggiunto apertamente la giusti zia, in sé e nel suo rapporto con la politica – è forse una delle insidie più pericolose cui l’Italia va incontro nella difesa della democrazia. Da un lato vi sono lo scontro tra politica e magistratura e le incessanti, reciproche invasioni di campo. Dall’altro lato vi è la crisi che il po tere giudiziario italiano sta vivendo con l’inchiesta sulle nomine per il Consiglio superiore della magistratura e per la designazione dei capi degli uffici giudiziari.
Si affaccia infine un problema di fondo, oggetto in questi tempi di un dibattito sia approfondito che mediatico: la alternativa e la contrapposizione o la confusione cariche di ambiguità tra l’emergenza e l’eccezione. La prima è rivolta a un ritorno alla normalità precedente e alla realtà del passato attraverso interventi temporanei, proporzionati al fine e ragionevoli rispetto a novità che le turbano gravemente. La seconda è indirizzata invece a una modifica di quella realtà attraverso l’introduzio ne permanente di nuovi assetti e di nuove regole per il futuro.
Insomma, i provvedimenti temporanei di emergenza, per tornare come prima, o le eccezioni permanenti per avviare il cambiamento. Tuttavia è frequente il passaggio troppo disinvolto da un intervento di emergenza a uno di eccezione, come ad esempio nella tendenza avanzata per le udienze nei processi o per le sedute parlamen tari, anche dopo la fine dell’emergenza e il ritorno alla normalità.
Il secondo aspetto della crisi – quello interno alla magistratura – è oggi forse il più dirompente per la fiducia e la credibilità in essa.
Nasce da un’inchiesta avviata e poi deflagrata con le indagini su di un pubblico ministero romano, che è arrivata a toccare uno dei più alti magistrati italiani, il procuratore generale della Cas sazione e svariati componenti del Consiglio superiore della magistratura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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