Cronache

"Ci scambiamo il Green pass": così i furbetti aggirano le regole

Con il Green pass cambiano anche le regole della movida, ma non per tutti. Gli esercenti si dividono sull’obbligo entrato in vigore. Ma aggirare le norme è facilissimo

"Ci scambiamo il Green pass": così i furbetti aggirano le regole

Cambiano le regole negli esercizi della Capitale dove è entrato in vigore di Green pass. Il dibattuto tagliando verde è la vera novità del weekend appena trascorso. Spetterà ai gestori delle attività accertarsi che i clienti siano in regola, scansionando il Qr code con l’applicazione Verifica C19. "La procedura di per sé non è complessa, ma ci sono ancora dei nodi da sciogliere", ci racconta Francesca Lorusso, proprietaria del ristorante La Campana, il più antico della Capitale. Nel suo locale i nuovi protocolli vengono seguiti alla lettera, anche se lei non li condivide a pieno. "Non mi piace che passi l’idea che i ristoranti sono luoghi a rischio, non è così, comunque – mette in chiaro Francesca – siamo tutti vaccinati e ci atteniamo alle regole, non tanto per convinzione quanto per mentalità".

La sala interna segna una temperatura accettabile grazie alla climatizzazione, ma è vuota. Non era mai successo nei giorni più infuocati di agosto. "Lavoriamo con i tavoli all’esterno – ci spiega Francesca – perché non tutti sono ancora muniti della carta verde". Secondo le stime della ristoratrice, al momento, un cliente su quattro non ha il lasciapassare. "I gruppi spesso sono misti, quando è così siamo costretti a far accomodare tutti fuori". Una politica decisamente diversa da quella adottata altrove. Non tutti infatti hanno preso nota delle novità. Ed è soprattutto nei quartieri simbolo della movida romana che si tende a chiudere un occhio, o anche due. "Io il Green pass ce l’ho, è questione di senso civico, dispiace però vedere che in molti locali ancora non lo chieda nessuno". A parlare è un ragazzo sulla ventina. Come lui, a decine, nella affollatissima piazza Trilussa, epicentro del divertimento trasteverino, ci mostrano il certificato digitale con inaspettato entusiasmo.

"Noi – ci dice all’unisono un gruppetto di diciottenni – ci siamo vaccinati insieme per fare la maturità senza pensieri e goderci le vacanze". Sono i ragazzi che hanno partecipato alla campagna vaccinale della Regione Lazio dedicata ai maturandi. Ovviamente il discorso non vale per tutti. Il trend si inverte per gli over trenta. Tra loro, sulla base delle testimonianze che abbiamo raccolto, serpeggia maggior scetticismo. "Per ora non mi va di vaccinarmi, aspetto di vedere cosa succede a settembre", ci spiega una ragazza appollaiata su una panchina assieme agli amici. "E per l’ingresso nei locali?", le domandiamo. "Per ora non è un problema, si può comunque stare fuori e poi non è detto che serva il Green pass per entrare". È la risposta.

Bisogna solo conoscere il posto giusto. Tra gli habitué della zona la voce si è sparsa già. Basta domandare, e qualcuno saprà indicarti con sicurezza dove andare senza Green pass. Seguendo le indicazioni riusciamo anche noi ad entrare senza carta verde in un pub. "No qui ancora non la chiediamo, facciamo un po’ i vaghi per non perdere clienti e poi – continua il titolare – fare controlli è inutile, sai quanti ne ho visti che si scambiano il Green pass? Ti dicono che il documento ce l’hanno in macchina o che se lo sono dimenticato, noi qui dobbiamo lavorare mica possiamo metterci a fare i controllori". La conversazione si svolge in un clima surreale, attorno a noi carovane di adolescenti entrano ed escono, mentre in strada ci sono scene di affollamento che non si vedevano dall’epoca pre-Covid. "Il problema grosso è con i turisti, in particolare con gli americani, da loro non c’è il Green pass e non tutti girano con il certificato vaccinale in tasca: con loro come ci comportiamo?", ragiona l’esercente. La bambagia però finirà nel giro di qualche giorno. "Quando il sistema sarà più rodato – conferma – ci dovremo adeguare anche noi, non possiamo permetterci il lusso di chiudere ancora".

Non la pensano così, invece, alcuni colleghi. Sono un network, una rete, e sabato scorso erano in piazza del Popolo per dire "no al Green pass". Loro non si nascondono, anzi, fanno della propria dissidenza un motivo di vanto e fierezza. Sulle porte dei loro locali ci trovi scritto a caratteri più o meno cubitali: "Qui non chiediamo il Green pass per entrare". La ristoratrice con cui parliamo non teme multe e chiusure. Come lei, le decine di clienti accorsi a darle manforte. Una pizza ed una birra qui sono qualcosa di più di un piacere, sono un vero e proprio atto di disobbedienza civile. "C’è un avvocato – ci spiegano – che si è messo a disposizione per contestare le multe, questa decisione è totalmente anticostituzionale e noi non pieghiamo la testa".

È questione di principio e non solo. "Siamo pronti a rinunciare a tutto – minacciano i No Pass – e a pagare lo scotto di questa situazione non saremo solo noi, ma anche le attività commerciali che non vedranno i nostri soldi". Tutto per non sottoporsi a quella che qui viene descritta come una "terapia genica sperimentale". A pochi metri di distanza c’è un ragazzo francese, di origine tunisina, che segue la conversazione. "Personalmente mi sento più sicuro nei locali dove il certificato viene richiesto, non giudico le loro posizioni, ma non sono per niente d’accordo", ci dice.

"Anche in Francia protestano, dicono che siamo in dittatura, ma io la dittatura la conosco e credo – spiega convinto – che il vaccino sia l’unica opportunità per uscire dalla pandemia".

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