Cronache

La guerra di mafia a Ostia

Una decina di gambizzazioni in meno di 10 anni, altrettanti omicidi nella guerra fra bande per la spartizione del territorio all’indomani dell’arresto dei boss dei boss, i fratelli Pasquale e Gaspare Cuntrera, i “Rothschild della mafia” che da Siculiana si stanziano a Ostia, proprio a pochi passi dal luogo della sparatoria di ieri

La guerra di mafia a Ostia

“C’era bisogno di avere un segnale molto forte, di una risposta molto ferma, che c’è stata”. Sembrano le ultime parole famose della settimana enigmistica, invece sono quelle pronunciate dal ministro degli Interni Marco Minniti, all’indomani dell’arresto di Roberto Spada a Ostia. Appena 10 giorni fa. E puntualmente la risposta della mafia non si fa attendere. Quattro proiettili calibro 38 special andati tutti a segno, ieri notte, su due uomini: Alessandro Bruno, 55 anni, imprenditore, e A.F., pizzaiolo di 40 anni. Gambizzati entrambi in strada, il primo in gravi condizioni, ma non in pericolo di vita, a causa di un attacco di cuore seguito al ferimento. E se per qualcuno a Ostia tornano a “parlare” le pistole, per altri non hanno mai smesso di urlare. Una decina di gambizzazioni in meno di 10 anni, altrettanti omicidi nella guerra fra bande per la spartizione del territorio all’indomani dell’arresto dei boss dei boss, i fratelli Pasquale e Gaspare Cuntrera, i “Rothschild della mafia” che da Siculiana si stanziano a Ostia, proprio a pochi passi dal luogo della sparatoria di ieri. Siamo in via delle Canarie, qui c’è una pizzeria come tante, la “Nuova Disco Giro Pizza”. I titolari, Sara e il papà Alessandro, si sono trasferiti da un vecchio locale al di là della ferrovia, in via Capo Spartivento. Lo stesso dato alle fiamme la scorsa primavera? Fatto sta che Alessandro e il suo cuoco vengono avvicinati da giovani su un maxi scooter. La dinamica è sempre la stessa: due centauri, caschi integrali sulla testa, il passeggero estrae il revolver e spara. All’interno del locale ci sono ancora clienti a tavola. In pochi secondi scoppia il finimondo. Quando arrivano le ambulanze i sanitari trovano due corpi sanguinanti a terra. Per fortuna tutti e due vivi. Una corsa all’ospedale Grassi e in sala operatoria per l’estrazione delle pallottole.

L’ipotesi? Che a un primo avvertimento della scorsa primavera ne sia seguito un altro per “impegni” e scadenze non rispettate. Dell’arma, cercata invano nei cassonetti, nessuna traccia. Lo scooter, ovviamente rubato, è dato alle fiamme in via Melanesia, 100 metri di distanza. Un agguato in piena regola e sicuramente di stampo mafioso, a meno che non esca una storia assai diversa. Gli inquirenti, dal canto loro, mentre studiano i filmati delle telecamere, aspettano che migliorino le condizioni delle vittime. Interrogati i parenti dei due, soprattutto del titolare della pizzeria. Nessun avvertimento, nessuna richiesta del “pizzo, secondo le loro dichiarazioni. Un copione visto e rivisto centinaia di volte a Ostia dove, proprio a pochi metri dal posto della gambizzazione, il chiosco bar della pineta di via delle Baleniere era stato fatto saltare in aria e poi incendiato. Una triste sequela di negozi di fotografia, di ristoranti, stabilimenti balneari, tipografie (una per tutte, quella di un quotidiano locale, “il Giornale di Ostia”) dati alle fiamme o, secondo i vari prefetti e questori che si sono succeduti nel tempo, arsi a causa di tragiche fatalità, spesso persino per strani corto circuiti. È un fatto: a Ostia per avvertire qualcuno si spara alle gambe. Fra i precedenti vicini, nel 2015, la gambizzazione di un pregiudicato davanti a un pub, il John Bull, nella zona Stella Polare e quella di Massimo Cardoni, padre di un pentito, davanti a un supermercato a mezzogiorno. Ancora, la gambizzazione nel 2007 all’Isola 46 a Casalpalocco di Vito Triassi, 63 anni, sorvegliato speciale, originario con il fratello Vincenzo di Porto Empedocle.Sempre nella stessa strada, ma qui è storia, viene gambizzato (prima di essere ucciso mesi dopo) Ottorino Addis, ex terrorista dei Nar passato dalla politica al narcotraffico. Il suo errore, vent’anni fa, fu di volersi mettere in proprio, abbandonando i suoi “padroni”, i siciliani emergenti alleati con il clan Cuntrera - Caruana - Caldarella, dimenticando una partita di cocaina da saldare. Storie raccontate con il piombo delle P38 e che piazzano ancora una volta Ostia come terminale numero uno per i cartelli del narcotraffico. Brasile, Costa Rica, Venezuela, Colombia le basi di partenza per attività da capogiro. Esagerazioni? Basta ricordare 4 operazioni investigative, oltre 60 fra ordini di cattura ed estradizioni, 12 morti ammazzati nella guerra per il monopolio dello spaccio solo sul litorale romano. Una guerra fra narcos giocata fra vecchi e nuovi boss, gang locali e forze dell’ordine. La prima “spallata” per la nuova malavita lidense arriva con “Black Beach” prima e “Valleverde” dopo, le maxi inchieste che scardinano l’asse Caruana-Cuntrera, le famiglie in affari con i Gambino di New York, e i sopravvissuti della banda della Magliana, in parte legati al clan Fasciani. Un superpentito, Raoul Riva, dopo l’uccisione del fratello Gianluca spiega ai magistrati i legami di sangue fra i siciliani e le cosche napoletane impiantate alla Marranella, comandate dai fratelli Senese. E quando le acque di Ostia si fanno agitate il primo a fuggire è Vincenzo “Chicco” Pompei, 40 anni, capo della banda Addis-Riva, fra i latitanti più pericolosi d’Italia. Pompei viene scovato in un albergo di San Paolo del Brasile e arrestato.

Stesso posto dove morirà, anni dopo, “suicida”, per aver tradito gli amici.

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