Cronache

I costi della Tav e la balla dei 20 miliardi

I costi della Tav e la balla dei 20 miliardi

Ignorando il principio di Einaudi «conoscere per deliberare», i 5 stelle scrivono sui loro blog che la Tav costa 20 miliardi. Pura fantasia, in termini piatti «una bufala». Dai documenti ufficiali (il Trattato europeo sottoscritto dall'Italia e dagli altri Paesi coinvolti) si desume che la Tav per il versante italiano, al massimo, costa 7,8 miliardi, di cui il 40% erogati dall'Europa, che l'ha approvata, con l'analisi costi-benefici, come progetto di interesse comune. Dunque all'Italia l'opera costa circa 4.700 milioni (il 60% di 7,8 è 4,68). Il traforo nella parte italiana costa 3 miliardi e quindi all'Italia 1,8 miliardi. Le opere di adduzione ne costano circa 4,8, cioè per l'Italia 2,9. In parte si tratta d'opere per arrivare al traforo, circa un miliardo. Il resto serve per un tunnel nel tratto verso Torino e una «bretella» per far passare il traffico merci Tav oltre Torino. Un sottosegretario Cinque stelle ha affermato che è assurdo spendere 20 miliardi per ridurre di mezz'ora il tempo di percorrenza fra Torino e Lione: ignorando (o forse sorvolando sul fatto) che questo traforo, finanziato dall'Europa, assieme alle opere di adduzione sul versante francese e su quello italiano si chiama «corridoio mediterraneo» ed è lungo 3mila km, metà circa nel tratto franco-spagnolo; l'altra metà nel tratto Italia-Slovenia-Ungheria sino al confine ucraino. La Torino-Lione è lunga 234 km, ossia il 7,8% del «corridoio rapido su rotaia». Si noti che nella parte italiana questo «corridoio» si collegherà, tramite il traforo del Brennero alla Tav italo-austriaca diretta verso Nord. Tramite il raddoppio del Canale di Suez ultimato nel 2015, i porti italiani potranno fruire del traffico proveniente dall'Asia, in particolare quello di Gioia Tauro, quello di Trieste e quello di Genova-Savona. Il ministero dei Trasporti attuale e i suoi esperti cosiddetti «tecnici» (come se le analisi costi-benefici non fossero basate su principi etici e politici) hanno uno strano modo di ragionare per decidere se convenga o no fare un'opera - Tav o Tap o altra - bocciata dalla loro analisi costi-benefici. La affiancano con una stima «giuridica» del costo della revoca del contratto già sottoscritto, per accertare se esso supera o è inferiore al costo di continuare l'opera. Nel primo caso l'opera va fatta. Nel secondo no. Questo ragionamento è sbagliato. Una massaia non ragiona così.

Supponiamo che in un supermercato essa veda una merce che di solito non compra perché «è troppo cara». Ma ora ci sono dei saldi e i prezzi sono dimezzati. L'articolo ora le conviene perché il risparmio sul budget è inferiore al beneficio che si perde a non comprarlo. Non basta confrontare i due costi, si deve anche tener conto della perdita del vantaggio derivante dal non fare quella spesa. Nel caso della Tav gli indennizzi alla Francia per le spese già sopportate e la restituzione all'Unione

europea delle sovvenzioni ricevute da Spagna e Francia, causano un onere di circa 4,2 miliardi per chi rompe il contratto. Ammettendo che la Francia, la Spagna, la Slovenia e l'Ungheria non reclamino risarcimenti per il danno economico di tale rottura, il costo per l'Italia della revoca della Tav è di 4,2 miliardi contro il costo della Tav di 4,8.

La differenza di 600 milioni è il costo del fare la Tav rispetto a non farla. Unire i mercati europei a Sud delle Alpi e quelli dell'Est, collegare le nostre culture e società, con una grande opera tecnologica non vale neppure 600 milioni?

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