I reduci solitari dei matrimoni finiti

Come lo capisco Paolo Conti che sul Corsera dichiara: a 58 anni è tardi per innamorarsi

I reduci solitari dei matrimoni finiti

Ma come lo capisco Paolo Conti che sul Corsera dichiara: a 58 anni è tardi per innamorarsi. Trovo an­ch’io un po’ ridicoli i fintogiovani, gli adolescenti di ritorno che, in preda a un’arteriosclerosi gioiosa, ricordano solo se stessi di quarant’anni prima. Però mi fanno un po’ tenerezza quei ragazzoni tardivi e recidivi, come Mi­chele Placido, mi commuove la loro lotta contro l’età, anche loro hanno una canzone di riferimento: «Il nostro amore durerà per una breve eternità, salvo un miracolo chissà».

Il miracolo non ci sarà, anche perché i santi non spacciano viagra d’amore. Allora non resta che riconoscere una gerarchia dell’amore uscendo dai nostri casi personali. Dunque, al vertice c’è l’amore assoluto ed eterno tra marito e moglie, raro e prezioso. Poi viene la capacità di sublimare in altri campi le proprie insoddisfazioni, salvando il rapporto perenne. Segue, terzo livel­lo, un amore di riferimento per tutta la vita più episodi provvisori e tollerati per ossigenarsi. Poi si scende al disa­more bilaterale: saldamente insieme, ma ciascuno ha la sua vita.

Dopo si arri­va alle separazioni e alle solitudini, le nostre. Alcune belle, altre penose, la gran parte belle e penose. Frugali rap­porti, brevi parentesi, disperate poli­gamie.

Miraggio finale è la compagna in extremis per concludere comba­ciando, o la badante generosa, o la co­munità di solitari. Intanto soli. Perché non si crede nell’amore o vi si crede troppo. Per insofferenza verso la fami­glia o per nostalgia di quella vera, origi­naria, amata e asfissiante in cui siamo nati.

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