I servizi, la spia, la Uno Bianca: "Ecco tutta la verità sulla banda"

Alle stampe il libro Vuoto a perdere di Eva Mikula curato da Marco Gregoretti: "La mia vita con i Savi"

I servizi, la spia, la Uno Bianca: "Ecco tutta la verità sulla banda"

Si presenta così Eva Mikula a chi le chiede: scusi, era proprio il caso di scrivere un libro su quei tragici fatti, dopo 25 anni? "Io ho sempre sottaciuto alle ingiurie e alle cattiverie di chi ha tratto vantaggi e benefici dal 'fenomeno' Banda della Uno bianca. Poi ho deciso che era giunto il momento di dire basta e di ristabilire certe verità, scomode per il sistema".

Sono tutti agitati a Bologna e non solo. Forse anche a Roma, in qualche ufficio ministeriale, su su in alto. In procura, in alcune redazioni locali e nazionali, tra gli investigatori, nei sussurri dei servizi segreti. E pure in cella, come ricostruito dal Giornale.it. Mancano pochi giorni a domenica 14 febbraio, data prevista per l’uscita, nelle due versioni e-book e cartacea, di Vuoto a perdere. Verità nascoste sulla Banda della Uno bianca (Edizioni Il Ciuffo), l’autobiografia con cui Eva Mikula, che fu per 33 mesi la compagna di Fabio Savi, ritenuto il capo della gang, racconta se stessa e gli eventi nascosti tra le carte, occultati, insabbiati, di una storia sanguinosa. "Scriverlo - dice ancora Eva Mikula al Giornale.it - È stato per me un momento di riscatto, non più procrastinabile date le continue menzogne sulla cattura della banda, gettate in pasto all’opinione pubblica, creandomi negli anni moltissimi inconvenienti".

I sei componenti (Fabio, Roberto e Alberto Savi, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli), di cui cinque poliziotti, tra il 1987 e il 1994, secondo gli atti processuali, uccisero 24 persone e ne ferirono 102 durante assalti e rapine. Tra le vittime anche tre giovani carabinieri uccisi la sera del quattro gennaio 1991 nel quartiere bolognese del Pilastro. Se una ragazza appena diventata maggiorenne, una terribile notte tra il 23 e il 24 novembre 1994, non avesse, a proprio rischio e pericolo, raccontato tutto ciò che sapeva, rilasciando una drammatica testimonianza ai poliziotti del commissariato di Rimini, davanti a tre magistrati, chissà quanto ancora lunga sarebbe stata la scia di sangue.

Assoluzione in primo grado di Eva Mikula a Pesaro nel 1997
Assoluzione in primo grado di Eva Mikula a Pesaro nel 1997

Il punto è proprio questo. I quattordici capitoli, le fotografie, i documenti e le 250 pagine di Vuoto a Perdere spiattellano in maniera incontrovertibile chi furono i veri eroi che consentirono agli investigatori e agli inquirenti, dopo sette anni e mezzo di nulla assoluto, di venirne a capo: Eva Mikula e il suo amico giornalista ungherese László Posztobányi (leggi qui). Ma questa semplice verità, contenuta fin dal primo verbale, per ragioni probabilmente inconfessabili, è stata dimenticata, "insabbiata" a favore di riflettori e di giochi politici. I fratelli Savi e i loro complici dovevano a tutti i costi, secondo un’ipotesi giudiziaria cercata e mai trovata, essere pericolosi terroristi al servizio di apparati deviati ed Eva Mikula una adolescente spia venuta dall’est. Un teorema nel paese dei teoremi che contribuì a regalare gloria e fama (e forse non solo) a miti immaginari. E allora il libro di Eva Mikula costituisce un vero pericolo per chi ha mentito o per chi ha taciuto. Ed ecco che è bastato l’annuncio che era stato scritto davvero, per assistere a pressioni e a reazioni non sempre composte e sobrie. La più clamorosa è stata quella di Fabio Savi, condannato per i delitti della banda che, dal carcere, attraverso il suo avvocato Fortunata Copelli, ha fatto pervenire ai giornali e alle agenzie una lettera rivolta alla sua ex: "Ti piacevano i gioielli e i vestiti. Smettila di cercare visibilità".

Libro Eva Mikula

Due capitoli interi di Vuoto a perdere sono dedicati alla storia prima d’amore e poi di terrore tra una ragazzina e un uomo che rapinava e uccideva. Un “amore perverso”, lo definisce la stessa Mikula, iniziato in un ristorante di Budapest quando aveva 16 anni (e Fabio Savi 32), e finito 33 mesi dopo, una notte in un autogrill dell’autostrada, vicino a Tarvisio, tra i lampeggianti delle volanti della polizia. "Mi aspetto che il libro - spiega ancora Eva Mikula al Giornale.it - in particolar modo a partire dalle pagine che riguardano gli aspetti della mia vita con Fabio Savi, possano contribuire alla ricerca della verità. In molti hanno sbagliato. E gli errori furono determinati da un grave condizionamento ambientale”. La giovane protagonista subì anche alcuni processi per le dichiarazioni fatte dal carcere dai fratelli Savi che la collocavano presente durante i sopralluoghi di due rapine, finite nel sangue. Dichiarazioni poi ritrattate e che odoravano di vendetta. Anche perché fu assolta per non aver commesso il fatto in tre gradi di giudizio. ”Il Fabio Savi che avevo conosciuto a Budapest era una persona perbene, paziente e premurosa. Percorreva migliaia di chilometri per venirmi a trovare e aveva lasciato la moglie per dimostrarmi il suo amore. Nell’aprile del 1992 lo seguii in Italia. Aveva già ucciso 22 persone. Ma non ce l’aveva scritto in fronte. Non ne sapevo nulla. Dopo un anno e mezzo di convivenza era diventato geloso, pieno di ira e di malvagità. In un suo scatto violento aveva distrutto il mio amato violino, l’unico legame con il mio breve passato”.

Eva Mikula

Iniziarono le botte, tante botte. E con loro la richiesta di aiuto al giornalista László Posztobányi e la decisione di Eva Mikula di mettersi in salvo e di far arrestare l’uomo che aveva tanto amato. "Fu una decisione dolorosa. Quasi come quella di una madre che deve denunciare il proprio unico figlio, con la consapevolezza di non vederlo mai più. E con la paura che l’ultimo colpo del caricatore della sua Beretta lo destinasse a me". La ragazza di 19 anni che rese possibile mettere al sicuro le strade percorse dalla Banda della Uno bianca, era in qualche modo ancora innamorata. "Almeno di quella parte di lui che avevo conosciuto all’inizio, che mi aveva mostrato con dolcezza. Non potrò mai dimenticare il momento in cui si lasciò ammanettare i polsi. Mi guardò intensamente e a lungo negli occhi, nemmeno lui ci poteva credere, nemmeno lui si rendeva conto di ciò che stava realmente accadendo in quel frangente. Le parole che gli uscirono dalla bocca le ho stampate nella testa: Eva, l'ho fatto per te. No, pensai. È giusto che tu ti sia fatto arrestare.

Non per me, per tuo figlio. E per tutta l’umanità". Vuoto a perdere sarà un pieno di benzina esplosiva. “È ora che vengano rimesse a posto le cose - chiosa Eva Mikula -E che sia raccontata la verità. Io, sappiatelo, non mi fermo”.

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