Cronache

Ilva, inizia oggi il maxi processo. Alla sbarra 44 imputati

Alla sbarra 44 imputati tra cui il sindaco di Taranto Stefano e l’ex presidente della Regione Nichi Vendola. Sotto accusa anche tre società

Ilva, inizia oggi il maxi processo. Alla sbarra 44 imputati

Inizia oggi il processo dell’anno: “Ambiente svenduto”. Nell'aula di Corte d'Assise al tribunale di Taranto sfileranno 44 imputati (ci sono anche tre società). L'accusa più grave è quella di disastro ambientale provocato dallo stabilimento siderurgico Ilva; essa pende sul management guidato dalla famiglia Riva fino al 2012. Oggi in aula, quindi, “la madre di tutte le battaglie” sull'emergenza inquinamento a Taranto. Oltre alla famiglia Riva, proprietaria fino a tre anni fa dello stabilimento siderurgico sono imputate una serie di figure istituzionali, a partire dall'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola o il sindaco di Taranto Ezio Stefano, ritenute dalla pubblica accusa responsabili, a vario titolo, di altri reati. Alla prima udienza, accanto al nuovo procuratore Carlo Maria Capristo, l’attuale presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano che, seduto tra i banchi dell’accusa, ribadirà che la Regione in questo processo si costituisce parte civile.

Si tratta di un maxi processo. Ci saranno 47 imputati (44 persone fisiche e le tre società Riva Fire, Ilva e Riva Forni Elettrici) coinvolti nell'inchiesta che quattro anni fa, nel luglio del 2012, portò al sequestro dello stabilimento siderurgico. Tra i rinviati a giudizio i fratelli Nicola e Fabio Riva, figli di Emilio (morto il 30 aprile 2014), ex amministratori dell'Ilva, accusati insieme all'ex responsabile delle relazioni esterne Girolamo Archinà, all'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, al consulente legale dell'azienda Francesco Perli e a cinque fiduciari, di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari e all'omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. E ancora, tra gli imputati figurano il prefetto Bruno Ferrante, ex presidente dell'Ilva, l'ex presidente della Provincia Gianni Florido, l'ex direttore di Arpa Puglia Giorgio Assennato, funzionari ministeriali e regionali, fra i quali l'ex capo della segreteria tecnica del ministero dell’Ambiente, ex dirigenti e funzionari dell'Ilva e il deputato di Sel ed ex assessore regionale Nicola Fratoianni.

Si tratta di un processo che avrà inevitabili riflessi politici, specie in un momento come questo nel quale la Puglia è terreno di scontro tra due linee contrastanti sul futuro dell'Ilva. Da un lato il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il governo difendono l'occupazione; dall'altro il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano sensibile alle questioni ecologiste. In mezzo il partito democratico diviso al suo interno. Sullo sfondo il dramma di una terra e di una città riducibile in due parole: ricatto occupazionale. Un nodo irrisolto per la Puglia, non solo per Taranto, soprattutto in virtù dello stretto legame ai problemi della salute dei cittadini e del delicato equilibrio tra questa, il lavoro e il profitto. Un nodo difficile da tagliare con la sola spada della giustizia.

Era il 9 luglio 1960 quando venne posata la prima pietra dell'Italsider sull’antica Via Appia, nei pressi di Taranto. Da un lato della strada sorge l’antico acquedotto medioevale, di fronte le ciminiere. Quella prima pietra era promessa di sviluppo e posti di lavoro. Le campagne furono abbandonate e finalmente si poteva andare a lavorare in fabbrica. Nacquero quelli che dieci anni dopo, sul “Corriere della Sera”, Walter Tobagi avrebbe chiamato “i metalmezzadri”, gli operai ex contadini che vedevano davanti a sé un futuro roseo e ricco. Gli anni, però, hanno rubato i sogni e li hanno offuscati con un fumo denso, quello degli altoforni.
Ma il mercato non ha tempo per guardare gli operai, chi, ignaro ci avrebbe rimesso la vita per lavorare in uno stabilimento, costruito a due passi dalla città senza essere a norma per la tutela della salute degli operai e di chi ci abita vicino. Bisognava produrre, l’Italia doveva dimostrare, sulle spalle di Taranto e della Puglia, che aveva l’industria pesante e poteva rientrare tra le grandi potenze. Così nel 1965 arrivò anche l’allora presidente della Repubblica Saragat ad inaugurare quello che diventera il più grande stabilimento siderurgico d'Europa. Sei milioni di metri quadri, 350 miliardi di lire come investimenti, due milioni e mezzo di tonnellate di acciaio all’anno. Da subito 4.

500 operai assunti che non sapevano che avrebbero lavorato una vita per consumarla lì in mezzo alla polvere di ferro.

Commenti