
La nuova strage di innocenti avvenuta al largo della Tunisia fa pensare che in tema di immigrazione non stia cambiando nulla. Da anni si perpetuano le stesse contrapposizioni alle quali corrispondono le stesse tragedie. E invece se si sa leggere tra le righe del recente Decreto Flussi e degli ultimi provvedimenti sull'immigrazione legale si scopre che non tutto è come prima e, silenziosamente, al riparo da proclami altisonanti, sta avvenendo qualcosa. La lotta all'immigrazione clandestina non è stata messa da parte. Resta al centro delle preoccupazioni e delle esternazioni del governo. Ma va affermandosi la pragmatica consapevolezza che, oramai, il Paese non può più fare a meno di una quota crescente d'immigrati. Tale contestazione non è né di sinistra né di destra. È un fatto incontrovertibile. Al punto che se un sovranista estremo decidesse di scaldare gli animi promettendo di sigillare i confini, a protestare oggi non sarebbero i centri sociali ma imprese e famiglie. Le prime perché non possono fare a meno di manodopera, le seconde perché cercano persone formate e fidate. Secondo gli ultimi dati, le richieste inviate dai datori di lavoro per assumere lavoratori stranieri sfiorano le 680mila unità; mentre nel 2026 potranno entrare legalmente in Italia circa 165mila lavoratori stranieri. Le imprese, dunque, chiedono manodopera quattro volte più di quella che il sistema è in grado di accogliere. E non possiamo far finta di non sapere d'essere il Paese che invecchia più rapidamente in Europa: oltre quattro milioni e mezzo di ultraottantenni e quasi altrettanti anziani non autosufficienti. Non a caso, proprio per rispondere a tale emergenza, il governo ha rafforzato il canale per gli ingressi delle assistenti familiari (oltre tredicimila posti l'anno, in crescita nei prossimi tre anni), accompagnandolo con la previsione di ulteriori "fuori quota" per la cura di disabili e grandi anziani.
Questa è la fotografia del presente. L'evoluzione tecnologica può, però, aiutarci a calibrare i flussi d'ingresso selezionando i lavoratori in base a qualifiche e reali necessità. Servono, per questo, grandi investimenti in un ciclo formativo integrato che attivi percorsi linguistici e professionali nei Paesi di provenienza, nonché successive azioni di upskilling e reskilling. Ma da tale processo possono derivare effetti positivi, che esaltano il ruolo delle imprese italiane impegnate a investire nella formazione professionale nei Paesi di origine, in collaborazione con governi e istituzioni locali; nonché quello di tanti giovani italiani coinvolti in esperienze all'estero come formatori, tutor e consulenti. Si attiva così il circuito virtuoso dello scambio e della crescita reciproca. E in Italia può approdare una forza lavoro più qualificata, restituendo tra l'altro dignità e professionalità a comparti che rischiano sennò di essere marginalizzati. Innalzando le qualifiche di chi arriva, infatti, si attiva la competitività e si riduce il rischio di un gioco al ribasso sui salari, spesso alimentato dal sommerso e da contratti dequalificanti. Se poi si guarda alla parte più elevata della piramide, si scopre che può essere favorita anche la circolazione delle competenze, mitigando gli effetti negativi della "fuga dei cervelli". L'Italia è un grande esportatore di giovani talenti nel mercato globale. Ma non riesce ancora ad attrarre il giusto numero di alte qualifiche straniere. Degli oltre 160mila ingressi regolari l'anno previsti, appena cinquecento sono riservati ad autonomi, professionisti e startupper stranieri. Eppure, questa è la frontiera del Ventunesimo secolo: attrarre e trattenere competenze ad alta intensità di sapere. Se, però, il sistema oltre a premiare chi torna valorizzasse pure chi arriva e sia poi degno di restare, diverrebbe il merito e non più un indistinto ideale di accoglienza universale il fondamento realistico dell'integrazione.
E dalla lotta all'immigrazione intesa come contestazione del sistema in nome del sovranismo se ne potrebbe uscire mantenendone intatto il significato più autentico. Perché la promozione dell'immigrazione legale diverrebbe il primo antidoto contro quella clandestina e per sconfiggere quanti su di essa hanno fin qui cinicamente speculato.