Italiani pronti a emigrare per i divorzi lampo

Negli ultimi cinque anni ottomila coppie sono espatriate e hanno formalizzato velocemente la fine del loro rapporto. Un escamotage per sfuggire alle lungaggini della nostra legislazione e un modo per tentare di ridurre le spese legali

Italiani pronti a emigrare per i divorzi lampo

Espatriare per divorziare. Ma soprattutto per divor­ziare in fretta. È la nuova tendenza che ha spinto otto­mila coppie italiane all’estero, secondo i dati dell’As­sociazione matrimonialisti. La ragione? I tempi: trop­po lunghi in Italia, dove ci vogliono almeno quattro anni se si procede per via consensuale e fino a 13 in caso di conflitto. E allora basta fare le valigie, affittare un appartamento all’estero, farsi intestare contratto e bollette e chiedere la residenza. Il regolamento 44/2001 del Consiglio europeo consente a qualsiasi tribunale di un Paese Ue di pronunciare una sentenza di divorzio purché i coniugi vi risiedano stabilmente. Quando si tornerà in Italia, l’ufficiale di stato civile dovrà solo trascrivere la sentenza, tradotta e accom­pagnata da dichiarazione di fedeltà al testo originale.

Marinetti, nel suo manife­sto del Futurismo, aveva det­to, centodue anni fa, «Noi affer­miamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellez­za della velocità». È vero: niente è più lontano nel tempo. La velocità del suo­no, della luce, di internet, dei motori e delle idee, rendono oggi tutto immediatamente percepibile, godibile, raggiun­gibile. Questo non vale però nel ter­ritorio italiano della giustizia: sanzionare un reato o vedere riconosciuto un proprio dirit­to, ottenere un titolo esecutivo perché sia finalmente onorato il proprio credito, arrivare in sostanza alla fine di un proces­so giudiziario - e dei tre gradi di giudizio, più gli annessi e connessi procedimenti - vuol dire entrare in una dimensio­ne fuori dal tempo corrente.

Accettare e subire tempi bibli­ci, non più compatibili con il pensiero e le azioni che defini­scono con prontezza qualsiasi dinamica ed esigenza della no­stra società. Il problema è ancora più sen­tito nel campo dei diritti della persona, e in particolare del di­ritto di famiglia. Per divorzia­re, in Italia, se c’è conflitto e considerata la fase indispensa­bile della separazione, posso­no servire anche quindici an­ni. Se c’è accordo tra le parti non meno di quattro: tre obbli­gatori per legge, uno almeno dalla richiesta alla sentenza di divorzio. Tuttavia siamo in Europa e possiamo godere del regola­mento del Consiglio Europeo: secondo un’interpretazione accreditata da molti operatori del diritto,qualunque tribuna­l­e dell’Unione può pronuncia­re una sentenza di divorzio tra cittadini europei, che risieda­no da almeno sei mesi in quel Paese.

Anche se non cittadini di quel Paese. Senza bisogno della preventiva separazione e facendo poi trascrivere la sen­tenza dall’ufficiale di stato civi­le del Paese d’origine. Gli Stati nei quali trascrivere i divorzi lampo, dovrebbero essere so­lo Italia, Malta, Irlanda del Nord e Polonia, gli unici Paesi europei che ancora prevedo­no la separazione prodromica al divorzio. Sembra che negli ultimi cin­que anni almeno ottomila co­niugi italiani abbiano scelto questo sistema di rapida con­clusione del vincolo matrimo­niale non più condiviso, supe­rando così le elefantiache atte­se prescritte dalla legge e ag­gravate dal funzionamento flemmatico dei tribunali. È evidente che non tutti pos­sono permettersi lo shopping del diritto, andandolo ad ac­quistare là dove c’è la possibili­tà di un servizio takeaway.

Non solo perché bisogna esse­re già d’accordo entrambi; ma anche perché, oltre al costo del legale straniero (notoria­mente meno imbrigliato dalle tariffe forensi di quello italia­no), c’è anche da pagare casa e soggiorno per almeno sei mesi e da organizzare diversamen­te la vita in Italia. Molti hanno preferito pren­dere questa strada, invece di aspettare, nella migliore delle ipotesi i fatidici quattro anni. Ma quanti di loro avranno fat­to le cose correttamente e quanti invece avranno imbro­gliato entrambi gli Stati coin­volti, ricorrendo a opportuni escamotages per avere tutte le carte a posto? Se un cittadino italiano deve organizzare truffe per ottene­re subito all’estero ciò che in Italia si propone come un’ipo­tesi incerta e a lungo termine, è ovvio che lo Stato italiano non possa non pensare seria­mente e subito ad adeguare l’ordinamento giuridico (e giu­diziario!) alle esigenze manife­state dalla società.

C’è l’ostaco­lo, però, della matrice cattoli­ca di molti parlamentari, a im­pedire la facile attuazione di quella che, secondo me, è la so­luzione migliore: e cioè l’intro­duzione di una legge che offra la possibilità di scelta tra sepa­razione e divorzio. In realtà l’ostacolo sarebbe superato dal fatto che ai cattolici convin­ti rimarrebbe pur sempre la possibilità di preferire ancora la separazione, utilizzandola come periodo di riflessione, per l’eventuale divorzio o la ri­conciliazione. Ma i laici, an­che quelli non così abbienti da comprarsi una temporanea re­sidenza straniera, vedrebbero almeno il loro diritto attuarsi in tempi ragionevoli. C’è da dire, a proposito di Stati esteri, che molti si rivolgo­no ai tribunali ecclesiastici (giurisdizione Città del Vatica­no) perché, a volte, la nullità del matrimonio è più veloce da ottenersi che non il divor­zio.

E, dunque, se vogliamo an­cora poter definire il nostro Pa­ese la culla del diritto, senza che il diritto sia denutrito e maltrattato dai suoi stessi geni­tori, è necessario che i parla­mentari italiani si alzino dalle loro sontuose poltroncine e vengano in trincea per vedere che cosa succede nel mondo dei divorzi: i giudici e gli avvo­cati italiani stanno perdendo credibilità a favore dei loro col­leghi stranieri ed ecclesiastici; i coniugi, certamente deside­rosi di regolamentare con cele­rità vite, patrimoni e figli, emi­grano a tempo nelle città euro­pee, se ricchi; se poveri, inve­ce, pagano il fiodell’inefficien­za statale, e a lungo pagano gli avvocati anche di più di quan­to basterebbe. Quelli che hanno davvero molta fretta, preferiscono ucci­dere il coniuge. In Italia si con­ta ogni giorno un omicidio in famiglia.

Sanno, gli assassini, per altro, di essere pienamen­te garantiti dalla lentezza iper­trofica della giustizia, dalla pre­scrizione, dagli sconti di pena.

Sovente, per un omicidio, do­po nove anni si può ricomin­ciare a vivere. Perché, forse pensano costoro, spendere de­naro e aspettare quindici anni per un divorzio sudatissimo e incerto? Con buona pace del­l­’apprezzamento dell’entusia­smante velocità, da parte di Marinetti.  

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