Coronavirus

L'Esercito in prima linea: il suo ruolo nell'emergenza Covid

Gli uomini dell'Esercito italiano combattono insieme al mondo civile la lunga battaglia contro il coronavirus. A partire dall'ospedale militare del Celio

L'Esercito in prima linea: il suo ruolo nell'emergenza Covid

"Quel pomeriggio stavo aiutando mio figlio a fare i compiti, quando mi è squillato il telefono. 'Preparati, in 4 ore partiamo'". È il 6 marzo 2020 quando il Tenente Colonnello Dario Carbone, medico militare specializzato in anestesia e rianimazione, riceve l’ordine di partire per Alzano Lombardo. "Sono nell’Esercito da 17 anni – racconta –, ho partecipato a numerose missioni in diverse aree critiche del mondo, dalla Somalia all’Afghanistan fino in Libia, ma quello che ho vissuto in questi mesi non lo dimenticherò mai. Siamo abituati a lavorare in situazioni di emergenza, è stato come andare in guerra. Ma questa guerra non finiva mai, non c’è mai stato un momento di stasi. E non vederne la fine è stato qualcosa che prima d’ora non avevo mai vissuto". Insieme a lui quel 6 marzo sono partiti altri tre colleghi dell’Esercito, e altri 12 appartenenti ai corpi della Marina, dell’Aeronautica e dei Carabinieri, professionisti che per tre settimane si sono integrati assieme a medici e infermieri locali. "In quei giorni mancava quasi il 30% del personale perché colpito da Covid, l’aiuto che abbiamo dato è stato sia sanitario che umano. La val Brembana è una realtà ristretta, in tanti si conoscono, molti di loro si trovavano a dover curare e talvolta a veder morire il proprio barbiere, il panettiere, il vicino di casa. Non è stato facile".

Tra i momenti più toccanti, le video chiamate con i parenti. "Durante il servizio ad Alzano Lombardo - racconta Dario - ci siamo trovati a mettere in contatto genitori colpiti da Covid con i figli, spesso bloccati lontano da casa. Ricordo il caso di questo paziente che aveva il figlio in Spagna che in video chiamata cercava di incoraggiare il padre, dicendogli che sarebbe migliorato. Purtroppo il paziente era già troppo grave, abbiamo dovuto spiegarlo noi in privato al figlio, che poco tempo dopo ha saputo anche del decesso allo stesso modo".

Giorni emotivamente difficili, che il Tenente Colonnello ci racconta fuori dal padiglione 19, il reparto di Terapia Intensiva del Policlinico militare Celio di Roma, un’area di circa 54mila metri quadri nel cuore della capitale, che da aprile 2020 è stata in parte riconvertita in ospedale Covid grazie ad un accordo tra il Ministero della Difesa e il Ministero della Salute. Il supporto dell’Esercito è silenzioso ma importante su tutto il territorio nazionale. In 22 giorni sono stati messi a disposizione 150 posti letto, di cui 50 per terapie intensive e sub intensive, solo nel Policlinico Celio. A questi si vanno ad aggiungere le decine e decine di posti letto presenti da novembre negli ospedali da campo militari che sono stati messi in piedi a Perugia, Aosta, Barletta e Cosenza, coordinate dal Comando Logistico e dove operano medici e infermieri in gran parte provenienti dal Celio. Non solo. Oltre alla parte assistenziale, c’è anche quella di sorveglianza. Lo scorso ottobre infatti è stata lanciata l’operazione Igea per effettuare i tamponi su tutto il territorio nazionale attraverso 154 postazioni Drive Through, in cui sono impiegati 422 sanitari delle Forze dell’Ordine (144 medici e 278 infermieri) e ad oggi sono oltre 420mila i tamponi compiuti.

Il mondo dell’Esercito spesso nell’immaginario comune è lontano dal nostro vivere quotidiano. Pensiamo ai militari come a persone che vanno in guerra, che sono presenti in scenari lontani dal nostro, e che saltuariamente scendono in campo nelle grandi città per sorvegliare aree a rischio. Ma è più vicino di quanto si pensi. È una rete organizzata, pronta ad intervenire e ad integrarsi in qualsiasi momento con la società civile, come ha dimostrato questa emergenza. Dal primo volo per andare a recuperare gli italiani a Wuhan a febbraio, al supporto alla sanità civile durante la prima ondata fino alla distribuzione dei vaccini che avverrà nei prossimi mesi. "Per il vaccino anti Covid la Difesa fornisce e fornirà tutto il supporto richiesto dalle autorità competenti – fa sapere il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini -. Uno speciale gruppo di pianificazione, denominato Joint Operations Planning Group, sta finalizzando l’organizzazione del contributo della Difesa alla distribuzione dei vaccini alla popolazione italiana, sulla base delle necessità individuate dagli Enti responsabili del Piano complessivo".

Con il Tenente Colonnello Carbone per Alzano Lombardo quel 6 marzo è partita anche Valentina Di Nitto, medico cardiochirurgo, da 9 anni nell’Esercito. Ha alle spalle missioni in Iraq, Afghanistan, e Niger, dove è rimasta un anno per l’emergenza colera, "ma - racconta - quella in Lombardia è stata sicuramente una delle esperienze cliniche e umane più particolari della mia vita. Le operazioni dell’Esercito - prosegue - difficilmente ci portano ad avere a che fare con i nostri connazionali. Per la prima volta purtroppo si è presentata questa necessità, e anche per questo è stata un’esperienza sicuramente segnante. Ricordo un signore anziano che ho curato ad Alzano Lombardo e che, sentendo il mio accento romano, si è sorpreso "ma da Roma fino a qui siete venuti?".

Ora Valentina è tornata nella capitale, e anche lei come il collega Dario è in servizio al Celio, non in terapia intensiva ma nella palazzina di fianco, dove risiedono i pazienti meno gravi.

Ci sono stati momenti belli in questo inferno? "Sì – rispondono entrambi – quando i pazienti virano, ossia quando migliorano e tornano negativi. Quella è una gioia indescrivibile". "Quella che vestiamo – aggiunge Dario – non è una divisa, è un saio. La nostra è una vocazione, quando veniamo chiamati non ci pensiamo due volte. Tutte le nostre energie le impieghiamo per il Paese e le scelte nazionali.

E così è stato anche in questa emergenza".

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