Non è bastato il caso Tortora e, nella storia, in dimensioni epiche, non sono bastati i casi di Giordano Bruno, di Galileo. L'inquisizione è sempre al lavoro. E per fortuna che il ministro si chiama Bonafede. Lo chiamerò, lo torturerò, farò interrogazioni parlamentari; ma non è tollerabile, e lui lo sa meglio di me, che dopo anni di inutili processi un filosofo, un editore, un promotore di cultura (con tutti i limiti del suo pensiero e delle sue teorie) come Armando Verdiglione, all'età di settantacinque anni, sia in carcere per scontare un residuo di pena di cinque anni per reati incerti e confusi. Il pensiero imprigionato parla di un governo debole, di una magistratura prepotente che non cerca giustizia ma vendetta.
Verdiglione è stato un riferimento della cultura europea, seguito da scrittori e pensatori a cui dobbiamo, anche grazie a lui, molto: da Alberto Moravia a Emmanuel Levinas, a Eugene Ionesco, a Fernando Arrabal, a Bernard-Henry Levy, a Jorge Luis Borges. Questi nomi garantiscono per lui, contro il pensiero debole e rancoroso di un magistrato che ha preteso il carcere, senza ragione. E anche ammesso che Verdiglione abbia meritato quella pena è suo diritto, ed è nostro diritto nel rispetto della legge che egli sia assegnato agli arresti domiciliari.
Uno Stato che non ha l'intelligenza della clemenza non è uno Stato di diritto. E Bonafede lo sa bene. Eserciti dunque la sua autorità per restituire Verdiglione alla sua casa e ai suoi libri, e a noi la dignità dello Stato.
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