L'imboscata del premier

Conte fa fuori il sottosegretario leghista Siri. I Cinque Stelle trionfano: adesso il governo è davvero in crisi

L'imboscata del premier

L'imboscata si materializza poco prima delle sette di sera, quando Giuseppe Conte si presenta nella sala stampa di Palazzo Chigi per dimissionare il sottosegretario della Lega Armando Siri, indagato per corruzione dalla procura di Roma. Un vero e proprio agguato, non tanto per il merito della vicenda - su cui il premier e il M5s insistono da giorni - quanto per la tempistica. Lo strappo, infatti, si concretizza mentre Matteo Salvini sta lasciando Budapest, al termine di un lungo incontro con il premier ungherese Viktor Orban. Una visita di Stato su cui il leader della Lega ha investito molto, soprattutto sotto il profilo della comunicazione. Non è un caso che Salvini si sia concesso un giro su un elicottero militare per andare a vedere con i suoi occhi il muro che l'amico Orban ha costruito lungo la linea di frontiera con la Serbia per impedire l'ingresso dei migranti che arrivano dalla rotta dei Balcani. Un vero e proprio spot per un ministro dell'Interno che ha fatto della legalità e della lotta all'immigrazione il tratto distintivo della sua politica. Senza considerare l'asse sovranista con il premier ungherese per cercare di spostare verso destra gli equilibri dentro il Ppe che uscirà dalle elezioni del 26 maggio.

L'affondo di Conte, però, sposta inevitabilmente i riflettori sul caso Siri. Con una tempistica che di fatto mette all'angolo Salvini. Dopo il premier, infatti, arrivano a stretto giro le parole di Luigi Di Maio, in un timing evidentemente già concordato con cura. Il leader del M5s elogia la scelta di Conte, annuncia il prossimo Consiglio dei ministri per «l'8 o il 9 maggio» e aggiunge che se ci sarà bisogno di votare sulle dimissioni di Siri i Cinque stelle hanno la «maggioranza assoluta». Insomma, indietro non si torna. A meno che Salvini non si voglia impiccare nella difesa del suo sottosegretario, al centro di un'indagine per corruzione su cui aleggia - lo ripete spesso e con insistenza Di Maio - l'ombra della mafia. Ma, ci tiene a sottolineare il vicepremier grillino, «Salvini è persona intelligente e di buon senso e aprire una crisi di governo» su questo tema «non sarebbe una bella immagine, prima di tutto per la Lega».

Insomma, da un punto di vista della comunicazione e con la campagna elettorale ormai nel vivo, non c'è dubbio che Conte e Di Maio abbiano di fatto «incastrato» Salvini. Al di là del merito della vicenda, infatti, il ministro dell'Interno che ha costruito la sua leadership sulla legalità dovrà ora decidere cosa fare. Alzare le barricate su Siri, assumendosi però l'onere dell'eventuale crisi di governo, oppure calare le braghe, evitando però di dare al M5s quello che diventerebbe il tema centrale della loro campagna elettorale. Due soluzioni entrambe ad altissimo rischio.

Su come si muoverà Salvini è difficile fare previsioni. Ieri il vicepremier ha evitato accuratamente di alzare i toni. In privato ha puntato il dito contro «l'imboscata» e ha promesso «fuoco e fiamme per difendere Siri nel prossimo Consiglio dei ministri». Il fatto che pubblicamente si sia limitato a dire che «il premier deve spiegare la sua scelta» lascia però intendere che le strade sono tutte aperte. Così come il tweet in cui a sera ribadisce l'intenzione di voler andare avanti sulla flat tax con un eloquente «tutto il resto è noia». Certo, non c'è dubbio che da ieri anche il rapporto con Conte è compromesso. Come pure il governo che presiede. Chissà che non abbia ragione Giancarlo Giorgetti.

«Matteo si è finalmente convinto che questo esecutivo e questa maggioranza hanno ormai esaurito la spinta propulsiva. Alla prima occasione utile si torna a votare», confidava qualche giorno fa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ad un parlamentare della Lega.

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