Coronavirus

L'incognita recidive. Rezza: "Si sono viste ma non è detto che chi le ha sia contagioso"

Sulle nuove infezioni, l’epidemiologo precisa che ci dovrebbe essere “un periodo in cui queste non avvengono perché chi ha preso il virus si è immunizzato”

L'incognita recidive. Rezza: "Si sono viste ma non è detto che chi le ha sia contagioso"

Si sono viste recidive, ma tra l'altro non è detto che chi le ha sia contagioso”. Lo sottolinea Giovanni Rezza, il medico a capo del settore malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità. L’epidemiologo spiega comunque che le ricadute sono collegate alle persone negative al tampone ma nelle quali il Covid-19 non è scomparso dal corpo.

Sulle nuove infezioni, l’epidemiologo precisa che ci dovrebbe essere “un periodo in cui queste non avvengono perché chi ha preso il virus si è immunizzato”. Rezza evidenzia il suo concetto ma specifica che non ci sono dati sul monitoraggio continuo dei pazienti dopo il trattamento terapeutico in quanto il coronavirus è scoppiato da poco tempo anche in Cina.

La contagiosità

Il medico non si sbilancia sul periodo durante il quale le persone colpite dal Covid-19 rimangono infette. “Abbiamo adottato la regola di 14 giorni dalla fine dei sintomi per concludere l’isolamento - continua Rezza - ma poi abbiamo trovato persone che ci mettono 20 giorni o un mese ad avere il tampone negativo”. A tal proposito, l’epidemiologo aggiunge che non si conoscono con precisione le tempistiche e gli stessi studi scientifici giungono a conclusioni diverse.

Poi Rezza affronta il livello di potenza del virus analizzato da alcune ricerche. “Si ha un picco di escrezione virale all'inizio della comparsa dei sintomi - prosegue il medico in un intervento su Repubblica -. Dopo, come avviene per l'influenza, la carica virale si abbassa”. Quindi l’epidemiologo spiega che quando il coronavirus è passato e non ci sono più sintomi, è difficile ma non impossibile che un soggetto contagi altre persone.

La quarantena

Nel frattempo la Regione Lombardia ha stabilito di raddoppiare i tempi della quarantena dei sintomatici, portandoli cioè a 28 giorni. Secondo Vittorio Demicheli, epidemiologo membro della task force lombarda, si tratta di una decisione giusta perché “non si sa quanto dura la contagiosità. Siamo nell'ambito della cautela, se si ricominciano a muovere le attività allora sui sintomatici bisogna stare molto attenti”.

Il medico evidenzia come ci si trovi davanti a un virus imprevedibile in cui le manifestazioni cliniche e e la contagiosità agiscono in modo autonomo.

La durata del ricovero nei casi gravi

Demicheli spiega che le persone in terapia intensiva ci rimangono per tre settimane e in un secondo momento sono ricoverate in un reparto Covid prima di essere dimesse. "In tutto, quindi, ci vuole circa un mese o anche un po' di più.

Chi invece non ha bisogno della rianimazione - conclude - può restare in ospedale una decina di giorni".

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