Coronavirus

L'isolamento e i sintomi "fatali": perché ora muoiono pure i giovani

Un infermiere del Sacco: "Ora l'età media si è abbassata. In crisi di ossigeno arrivano anche ragazzi di 30 anni"

L'isolamento e i sintomi "fatali": perché ora muoiono pure i giovani

"Qualche settimana fa molti arrivavano con sintomi lievi, o medi, comunque senza 'impegno respiratorio'. Oggi sono un po' meno, ma l'età media s'è abbassata, intorno ai 55/60 anni, anche giovani ragazzi di 30 anni. E quasi tutti hanno bisogno immediato di ossigeno. Febbre che non scende sotto i 38. Lastre bruttissime. In pronto soccorso vedi ovunque persone con cannule, mascherine, caschi". A raccontare al Corriere come è cambiata la situazione negli ultimi giorni è un infermiere dell'ospedale Sacco di Milano. Ora tra i pazienti degli ospedali ci sono anche i più giovani. Come Emanuele Renzi, il 34enne senza malattie pregresse deceduto a Roma.

Nelle prime settimane del contagio, chiunque avesse sintomi veniva ricoverato. Ma con il passare dei giorni questo approccio è diventato insostenibile. I posti letto negli ospedali hanno iniziato a scarseggiare e ad essere occupati solo dai casi più gravi. Ma chi è in isolamento a casa, senza un corretto monitoraggio, può peggiorare molto velocemente. "Tutto il sistema sanitario sta dicendo ai malati di restare a casa isolati il più possibile - ha spiegato l'infermeire del Sacco -. A volte va bene, ma le persone non si rendono conto di quanto avanza la malattia. Entrano in pronto soccorso con l'ossigeno nel sangue a 90, basso da far spavento. Quaranta atti respiratori al minuto, oltre il doppio del normale: hanno fatto quattro passi e ansimano come se avessero corso. Compensano fino alla fine con i polmoni quasi compromessi. Su 20/25 pazienti che entrano in un turno di 7 ore, almeno 3 o 4, ancor prima di fare il tampone, hanno già bisogno del casco, massimo livello di ossigeno prima dell'intubazione". Le condizioni peggiorano in modo repentino e quando si arriva in ospedale potrebbe essere troppo tardi. Emanuele è rimasto per sei giorni a casa con la febbre e quando è stato trasportato in ospedale era già gravissimo. Inutili le cure.

"In pronto soccorso 'reggiamo' 8-9 caschi, più le mascherine - ha continuato l'infermiere -. Hanno creato due aree d'emergenza, anche in astanteria. Ad ogni bocchettone d'ossigeno è attaccato qualcuno. Abbiamo anche i meccanismi per sdoppiare i flussi e assistere due pazienti. Ma la quantità totale d'ossigeno dell'impianto resta quella. Per ora stiamo reggendo". Ospedali sempre più sotto pressione che fanno fatica a rispondere all'emergenza. Ma, ha aggiunto l'infermiere, "il Sacco è attrezzato per il bioterrorismo. La nostra forza è stata la formazione obbligatoria, ogni infermiere può essere reperibile per la task force Ebola.

Affrontiamo il Covid con i protocolli Ebola, un virus con una mortalità devastante".

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