"L'Italia pretende troppi soldi". E ora rischiamo di risarcire gli stranieri

La Cgil fa causa al Ministero dell'Economia e vince: "Troppi costi per il permesso di soggiorno, i migranti venivano discriminati". Ora la pioggia di ricorsi potrebbe costarci 160 milioni di euro

"L'Italia pretende troppi soldi". E ora rischiamo di risarcire gli stranieri

Una sentenza che rappresenta un precedente rilevante nella giurisprudenza italiana in materia di immigrazione e che è destinata a fare storia: il Ministero dell'Economia è stato condannato al risarcimento di 35 cittadini stranieri per un contributo non dovuto relativo al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno. I fatti risalgono al periodo che va dal 2011 al 2016: ogni cittadino straniero doveva pagare solamente il costo della marca da bollo (16 euro), la stampa del documento (27,50 euro) e la spedizione postale (30 euro), ma dal 2011 lo Stato ha provveduto all'introduzione di un ulteriore contributo per il rinnovo dei titoli di soggiorno, per un costo che va dagli 80 ai 200 euro, in base alla relativa tipologia. Con l'introduzione di tale norma si erano aggiunti i costi dell'ulteriore contributo che ammontava a 80 euro per i permessi di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno; 100 euro per i permessi di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni; 200 euro per i permessi di lungo periodo.

Pertanto il tribunale di Lecco, in data 14 ottobre 2020, si è pronunciato favorevolmente accertando la "discriminazione attuata nei confronti dei nostri assistiti da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze" (clicca qui per leggere la sentenza). Il dicastero è stato condannato a pagare ai ricorrenti le somme indebitamente richieste nel corso degli anni. Nel 2015 la Corte di Giustizia europea dichiarò del tutto sproporzionato il contributo in questione poiché rendeva "economicamente difficoltoso" l'accesso degli stranieri al regolare permesso di soggiorno. Così il Tar del Lazio e il Consiglio di Stato annullarono il decreto ministeriale che aveva disposto gli incrementi, riconoscendo che l'Amministrazione avrebbe dovuto fissare nuovi importi purché proporzionati e non eccessivi e disciplinare la restituzione di quanto pagato in eccesso.

La beffa per l'Italia

Nel 2017 il tribunale di Napoli emise un'ordinanza mediante cui accolse il ricorso presentato da una famiglia di migranti trasferitarsi a Melito e condannò la presidenza del Consiglio, il Ministero dell'Interno e quello dell'Economia a restituire 500 euro. Venne così introdotto il tema della discriminazione in ragione della nazionalità, visto che le disposizioni di legge prevedevano che i cittadini stranieri corrispondessero "importi notevolmente superiori a quelli versati dai cittadini italiani per prestazioni dal contenuto analogo quale, ad esempio, il rilascio della carta d'identità". Dopo la decisione giudiziaria circa 50mila stranieri chiesero direttamente al governo il rimborso delle somme, senza ottenere risposta. Come sottolineato dall'edizione odierna de La Verità, si stima che siano state presentate oltre un milione di richieste di rinnovo per una somma che supererebbe i 160 milioni di euro. Sarebbe davvero cuorioso sapere quante migliaia di nuovi ricorsi sono già pronti a partire.

Ma nonostante ciò c'è chi festeggia. "Un risultato non solo per il territorio lecchese: il giudizio del Tribunale vale anche per la Lombardia e per tutto il territorio nazionale. Una sentenza che dà ragione alla Cgil, che ha osato là dove la politica è rimasta latitante", esclamano con soddisfazione dal sindacato.

I vertici della Cgil spiegano che la sentenza risponde giustamente alle istanze presentate da molti cittadini migranti: "Cercheremo di informare, in modo più esteso, i tanti che oggi si trovano ancora in queste condizioni per aiutarli a recuperare quanto, alla luce della sentenza, risulta sborsato ingiustamente".

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