Nella sala dei giornali adiacente all'aula di Palazzo Madama, dove si celebra la mozione di sfiducia contro il ministro Toninelli, Gianluigi Paragone, un passato leghista approdato nei 5stelle, si lascia andare ad una confessione che colpisce: «Fuori dal taccuino ti dico che questa cosa qui è già finita». Troppo ghiotta questa sentenza emessa da un personaggio che è considerato uno dei cerimonieri della maggioranza gialloverde, per non intingerci l'inchiostro. «Questa cosa qui», è l'alleanza tra leghisti e grillini e l'affermazione apocalittica di Paragone potrebbe essere tranquillamente la didascalia delle immagini dei fatti che in due giorni hanno innescato il detonatore della fine: l'arresto di un esponente storico del movimento come De Vito, espulso da Di Maio nei panni del giustizialista; il «no» al processo a Salvini con Di Maio vestito da garantista; ed ancora, l'avviso di garanzia per corruzione all'assessore Daniele Frongia, braccio destro della Raggi; mancano solo le dimissioni del sindaco di Roma per arrivare al «patatrac». Se poi lo scoppio della maggioranza gialloverde ci sarà tra un mese o tra un anno, poco importa. Dipenderà da Matteo Salvini, perno e problema del governo Conte. Si chiede, infatti, Paragone: «Come si può pensare di andare avanti con i due partiti di governo che battono sui tasti della propria identità? Manca la politica». Lui, Paragone, almeno ci prova a limitare i danni. Incontra la Nugnes, una delle senatrici grilline che hanno votato contro Salvini, e le dice: «Sono rimasto ad ascoltarti, i miei hanno sbagliato a lasciare l'aula». L'altra è spietata: «Ve l'avevamo detto che sarebbe finita così. Invece solo chiusure. E ora avete anche un problema di numeri. Salvini senza i voti di Berlusconi e della Meloni non ce l'avrebbe fatta».
Già, i numeri al Senato cominciano a ballare. Di brutto: l'altro giorno senza i voti di Fratelli d'Italia o di Forza Italia, il vicepremier leghista sarebbe finito sotto processo. Ieri Ignazio La Russa ha potuto dire nell'aula di Palazzo Madama: «Salvini salvato dai voti tricolori e governo sfiduciato». Non è cosa di poco conto. Del resto i leghisti lo avevano capito da tempo che sarebbe finita così, che il destino del governo Conte nelle votazioni «clou» si sarebbe giocato su una manciata di voti, meno delle dita di un mano. Tant'è che il leader leghista, se prima era disposto a lasciare a Forza Italia il seggio dov'è stato eletto in Calabria, oggetto di un contenzioso con l'azzurra Caligiuri nella giunta per le elezioni, magari optando per un collegio a Roma, ora ci ha ripensato e pretende che siano ricontati tutti i voti dei seggi calabresi. Durata dell'operazione? Almeno un anno. Stessi ostacoli la Lega frappone anche all'elezione dell'azzurro Michele Boccardo in un collegio a Bari, al posto di Carmela Minuto, forzista in odor di Carroccio. Il presidente della Giunta, Gasparri, si è tenuto le due patate bollenti in mano per mesi e ora, che al Senato i numeri del governo stanno saltando per le defezioni tra i 5stelle, Salvini e i suoi fanno ostruzionismo.
Appunto, l'opposizione. A vedere ieri Toninelli, lasciato solo al banco del governo dai ministri della Lega, deriso per due ore, c'è da pensare che Paragone abbia ragione a dire che «questa cosa qui è finita». Ma poi c'è da valutare la voglia delle opposizioni di condurre una battaglia vera, fino in fondo, contro il governo. «Ci hanno messo 12 ore a capire ironizza il capogruppo leghista, Massimiliano Romeo che i loro voti sono stati decisivi per Salvini». «Una constatazione divertente gli va dietro il capogruppo grillino Patuanelli ma i numeri non sono il primo problema: Napolitano, Rubbia e la Segre non vengono mai. La vera emergenza è il consenso nel Paese. Dovevamo mettere nel conto che andare al governo ci sarebbe costato un mucchio di voti. Per recuperarli abbiamo bisogno di tempo. Io, poi, non credo ai complotti, ma le vicende di De Vito e di Frongia danno l'idea che abbiamo, diciamo così, una congiuntura astrale davvero negativa!».
In realtà le stelle non c'entrano: le inchieste sono letali per chi si ciba di pane e giustizialismo. Ieri due episodi al Senato, se collegati alle cronache delle ore successive, danno l'idea del cambio di scena. Al mattino il grillino Airola si è rivolto ai banchi di Forza Italia, gridando «bunga-bunga»: qualche ora dopo l'Ansa ha battuto la notizia che probabilmente la modella Fadil è scomparsa per una malattia (nessuna traccia radioattiva è stata riscontrata sul suo corpo), per cui le interpretazioni che collegavano la sua morte al processo Ruby erano solo le allucinazioni di un sistema mediatico malato. Sempre al mattino, per rispondere ad Airola, il forzista Francesco Giro, aveva fatto il gesto delle manette. Due ore dopo è arrivata la notizia dell'incriminazione di Frongia.
Sono segni del cambiamento dei tempi. E del consenso. L'altroieri Di Maio ha tracciato con i suoi consiglieri una linea Maginot invalicabile per la salvezza dei 5stelle: «Se andiamo sotto il 20% sono guai». La sera del 20 marzo - cioè dopo il «no» al processo Salvini, l'attentato del senegalese allo scuolabus e l'arresto di De Vito - la Ghisleri ha raccolto il campione del suo sondaggio. Risultato: i grillini sono al 19%; il Pd li ha superati, lambendo il 21%; con l'aumento degli indecisi Forza Italia si colloca tra l'11-12%; la Lega, sull'emozione dei bambini salvati dal rogo del bus, è tornata al 33%. «Se la caduta dei 5stelle è la boutade della maga dei numeri andrà avanti con questo ritmo, rischiano di andare sotto Forza Italia». Ma se anche non si arrivasse a tanto, se i dati del sondaggio fossero confermati dalle elezioni europee, ci sarebbe un maremoto politico. Salvini si ritroverebbe con un alleato che in un anno di governo ha dimezzato i voti. Mentre le opposizioni avrebbero un'iniezione di coraggio. Si aprirebbe una corsa a conquistare i voti del «centro». «Cè una grande voglia di Dc osserva Matteo Richetti , questione che dovrebbe porsi anche il Pd di Zingaretti». «Per rinascere osserva il coordinatore di Forza Italia del Veneto, Davide Bendinelli dovevamo avere queste condizioni: un Pd radicalizzato a sinistra; una Lega spostata a destra; il crollo dei grillini. Ora il problema siamo noi: per risalire ci vuole un'opposizione chiara, ad un governo che ha deluso. Tutto».
Resta da veder cosa deciderà Salvini, il «dominus» in questa situazione. «Terrà in piedi questo catafalco sostiene Pier Ferdinando Casini perché gli conviene.
Con tutto ciò che accade questo equilibrio lo protegge sul piano giudiziario più di una riedizione del centrodestra. Avrà contro, sempre e comunque, i magistrati vicini al Pd. Ma non sarà perseguitato da quelli che guardano ai 5stelle. Vi pare poco?!».
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