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Di Maio, fuoco amico su Giuseppi. Tutti pronti al cambio in corsa

L'allarme rosso scatta in tarda mattinata, quando a Palazzo Chigi arriva la conferma di quello che inizialmente era solo un sospetto: dietro alla batteria di affondi del M5s sul Mes c'è la "manina" del ministro degli Esteri Luigi Di Maio

Di Maio, fuoco amico su Giuseppi. Tutti pronti al cambio in corsa

L'allarme rosso scatta in tarda mattinata, quando a Palazzo Chigi arriva la conferma di quello che inizialmente era solo un sospetto: dietro alla batteria di affondi del M5s sul Mes c'è la «manina» del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Che avrebbe aizzato i suoi - compresi il viceministro allo Sviluppo economico Stefano Buffagni e il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano - affinché premessero sull'acceleratore mettendo in chiaro che per il Movimento «il Mes non è digeribile». Un attacco solo nominalmente al Pd, visto che il titolare della Farnesina sa bene che il premier sta faticosamente cercando da giorni un punto di caduta che tenga insieme tutto. È del tutto evidente, infatti, che l'Italia non è nelle condizioni di poter rinunciare ai 35 miliardi del Mes per risanare il servizio sanitario, con buona pace della linea intransigente del M5s. L'attacco al Pd, dunque, non è altro che un frontale diretto a Conte. Con Di Maio che dopo avere appiccato l'incendio nasconde la mano. «Uniti saremo forti e liberi, la maggioranza giochi di squadra», dice ecumenico citando Alcide De Gasperi, come se la sventagliata di mitra partita dalla ridotta grillina non lo riguardasse. Conte ci pensa su qualche ora e alla fine mette nero su bianco la sua posizione: «Mi batterò per evitare condizioni vessatorie». Che, tradotto, significa appunto che il Mes con vincoli uguali per tutti non si può rifiutare. I big grillini fanno finta di non capire fino in fondo il senso delle parole del premier. E a sera, evidentemente disinnescati da Di Maio, sembrano avere rimosso il fuoco incrociato delle ore precedenti. «Piena fiducia in Conte, il lavoro di squadra è fondamentale», dice con un candore celestiale Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia e capodelegazione grillino al governo.

Ma la partita sul Mes è ben lungi dal finire. Anzi si giocherà proprio nelle settimane a venire. Perché se martedì prossimo il Parlamento non voterà sull'informativa del premier, è chiaro che quando l'Italia dovrà dire la sua sull'eventuale accesso al Mes (a fine maggio, se come pare il Consiglio Ue del 23 aprile si chiuderà con un via libera) un passaggio parlamentare sarà inevitabile. A quel punto Di Maio - che sta provando a riprendersi il Movimento a colpi di «no Mes» - potrebbe essere tornato a più miti consigli. E anche se un gruppo di parlamentati grillini decidesse di sfilarsi, ci sarebbero i voti a favore di Forza Italia. D'altra parte, sull'attività del governo, Silvio Berlusconi è stato sempre molto critico, ma sull'utilizzo di un Mes senza condizioni - lo avrebbe ripetuto in questi giorni anche Antonio Tajani nel corso di alcuni contatti con Conte - Forza Italia non ha dubbi. Certo, a quel punto ci sarebbe da fare una valutazione sui numeri in Parlamento. Perché se i voti degli azzurri fossero davvero determinanti, il destino del Conte 2 sarebbe segnato.

Ma gli scenari possibili sono diversi e non necessariamente alternativi. Non è un mistero, infatti, che siano in corso le grandi manovre per cercare di creare le condizioni per un governo di unità nazionale che faccia fronte all'inevitabile crisi economica. I rumors raccontano che Mario Draghi non sarebbe al momento disponibile e per questo in molti puntano su Vittorio Colao, a capo della task force di esperti che si stanno occupando di come gestire la «fase due». Non è una prospettiva di settimane, forse più di mesi. Su cui pesa però la prospettiva di spostare a ottobre-novembre le elezioni che coinvolgono ben sei regioni (Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Veneto). È evidente, infatti, che una tornata elettorale che riguarda oltre 21 milioni di cittadini può essere un freno a un esecutivo di salute pubblica. Così, c'è chi fa notare che ad oggi la norma che sancisce il rinvio delle elezioni (articolo 37, stando all'ultima bozza) è sempre stata alla fine stralciata dai testi finali dei vari Dpcm. Al momento, insomma, le Regionali sono ancora in calendario per maggio-giugno. E nella trattativa in corso tra Palazzo Chigi e le Regioni interessate sarebbe sul tavolo una finestra per il voto da luglio a novembre. Con alcuni governatori uscenti (Campania, Liguria e Veneto su tutti) che sono tentati dalle urne prima dell'estate.

Non un dettaglio: anche semplicemente diluire la tornata elettorale renderebbe infatti più percorribile l'eventuale scenario di un esecutivo di salute pubblica.

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