Di Maio vuole spegnere le tv

Il ministro del Lavoro: "Le televisioni hanno le ore contate"

Di Maio vuole spegnere le tv

Luigi Di Maio sostiene che le tv generaliste (per intenderci Rai, Mediaset e La7) sono destinate a sparire nel giro di non molti anni e che il futuro è nel modello Netflix, cioè nei servizi a pagamento. Il leader Cinque Stelle pare augurarsi che la profezia si avveri al più presto e se ne compiace. Legittimo, ci mancherebbe, del resto fino a che esisteranno tv generaliste alla portata di tutti sarà difficile per i grillini orientare l'opinione pubblica a loro piacimento. Ma non è questo il punto. Da un ministro del Lavoro ci si aspetterebbe una difesa a spada tratta di quello che c'è, non di mettere a rischio l'esistente con bizzarre e opinabili previsioni spacciate per verità. Vediamo i dati veri.

La Rai oggi dà lavoro a 13mila famiglie, Mediaset ha 5.500 dipendenti (oltre 4mila in Italia - il 40 per cento sono donne - e quasi tutti a tempo indeterminato). E Netflix? Nel mondo i dipendenti sono poco più di 4mila in Europa poco più di trecento, dicasi trecento, meno di una delle tante medie aziende brianzole. Ammiriamo chi guarda avanti, ma oltre l'orizzonte non c'è nulla, al massimo l'avventura. Io auguro a Di Maio lunga vita, e forse in un altro secolo si dimostrerà che aveva ragione, e che in Italia migliaia di ragazzi saranno pagati regolarmente da Netflix o da chi per lei. Ma quanti arriveranno vivi a quell'appuntamento se oggi il governo non difende e agevola con ogni mezzo lo sviluppo delle attuali tv generaliste che, tra l'altro, coincidono con le prime aziende culturali del Paese? Ho idea che si salverebbero in pochi, e in quanto alle innovative e giovanilistiche start up, anche nel campo delle comunicazioni, è dimostrato che, bene che vada, arricchiscono l'ideatore, non la collettività.

Lasciamo che lo sviluppo delle aziende resti nelle mani degli imprenditori senza interferenze. E speriamo che la politica resti fuori dal mercato, assecondando e non indirizzando le scelte di chi è chiamato a decisioni strategiche. Di Maio deve salvare i posti di lavoro che ancora restano, non il mondo.

Deve aiutare le aziende italiane, non provare a sostituirle con multinazionali estere di moda. «Prima gli italiani» non può valere solo per l'emergenza immigrati. Prima le aziende italiane, poi i sogni di un ragazzo che con il lavoro non è mai andato tanto d'accordo.

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