McDonald's si mangia i criticoni "Siamo globali ma Made in Italy"

L'amministratore della catena di fast food: "Le polemiche su Expo? Roba da Cgil del cibo. I nostri prodotti sono italiani. E sui controlli nessuno ci batte"

McDonald's si mangia i criticoni "Siamo globali ma Made in Italy"

Roberto Masi è amministratore delegato di McDonald's Italia. E la catena di fast food sarà sponsor ufficiale dell'Expo 2015 targata Italia e dedicata a «nutrire il pianeta».

Una scelta che ha suscitato polemiche.

«Ah sì? Polemiche? Devo dire che non è stata una sorpresa, però ci siamo messi a ridere. È un'Expo universale: ci sembrava adatta a un'azienda come la nostra, che è presente in 120 paesi e produce 70 milioni di pasti al giorno in giro per il mondo».

Però ecco, uno pensa al cibo locale, al Made in Italy...

«Certo, siamo italiani: e allora se pensiamo che l'Expo debba essere piena solo di piccole eccellenze... Le dico una cosa: a molti la partecipazione di Coca Cola e McDonald's non piace, però noi ci siamo presentati con la nostra strategia e con un progetto, tanti altri criticano, ma che progetto hanno? A noi piace fare, non solo parlare».

E quindi che cosa farete all'Expo?

«Avremo un padiglione-ristorante, che però non è solo un modo per fare profitto, come ci hanno accusato: servirà anche a spiegare che cosa fa McDonald's e come opera la nostra filiera alimentare, per esempio da dove vengono il nostro hamburger, il pollo, il pane, ma proprio nel dettaglio, a partire dal seme di grano».

E che cosa dimostrerete?

«Vogliamo far vedere che, anche se un'azienda è multinazionale, questo non significa che sulla qualità del cibo sia scadente, anzi, possiamo investire molto più degli altri sui controlli».

Ma che cosa c'entra McDonald's col Made in Italy?

«Noi siamo globali, ma più dell'85 per cento dei prodotti che utilizziamo è italiano. E italiano vero, per esempio il pollo: noi non ci accontentiamo di comprare da un marchio italiano, nel nostro caso Amadori, ma controlliamo che i polli siano davvero allevati in Italia e nutriti con mangimi italiani e non, per dire, comprati in Brasile o in Thailandia».

D'accordo, i polli sono italiani.

«Anche la carne. Il nostro fornitore, Inalca di Modena, deve assicurarci mucche tutte di provenienza italiana. E perciò ha stretto 17mila accordi con altrettanti allevatori della Val Padana».

E gli altri ingredienti?

«Lo stesso facciamo per il pane, prodotto a Modena con grano coltivato e macinato in Italia, per le mele della Val di Non, per l'olio extravergine di oliva della Calabria, per le brioche napoletane, per il latte della Centrale di Brescia e per il caffè, per il quale abbiamo, come fornitore esclusivo, un piccolo torrefattore milanese, la famiglia Ottolina».

Che cosa resta fuori?

«L'80 per cento delle patate e qualche salsa. Ma abbiamo stretto degli accordi per avviare una produzione in Italia: anche qui abbiamo un progetto, come del resto per l'Expo, con il concorso “Fattore futuro”».

Venti agricoltori italiani saranno selezionati per diventare fornitori di McDonald's per tre anni.

«Tutti under 40, che per l'agricoltura, ci ha spiegato il ministero delle Politiche agricole che ha patrocinato il progetto, è un'età “bassa”».

E che cosa devono fare per vincere?

«Presentare un progetto innovativo e sostenibile per una delle filiere previste. Noi garantiamo una richiesta di forniture per qualche anno, così loro possono mettersi in proprio ed entrare in un mercato internazionale».

Farinetti, il patron di Eataly, ha difeso la vostra partecipazione a Expo. Se l'aspettava?

«Sì. Come mi aspettavo gli attacchi di Slow Food, perché è il suo Dna, un po' come la Cgil sul lavoro: sai che è la loro posizione. Farinetti l'ho conosciuto, gli ho mostrato la nostra azienda, c'è stima reciproca. E poi da bravo imprenditore sa che il suo futuro non sarà in Italia: per crescere deve essere presente anche all'estero, e allora perché combattere una multinazionale se vuoi diventarlo anche tu?»

Ma qual è il prodotto più venduto in Italia?

«Numericamente, le tazzine di caffè. E dopo, il BigMac».

È vero che arriverà un Veggie burger?

«Sì, intorno all'estate. Ma sarà vegetariano, non vegano: verdure e formaggio».

I clienti sono più salutisti?

«È una tendenza mondiale, ma devo dire che in Europa e in Italia in particolare l'avevamo già molto anticipata, altrimenti avremmo già chiuso... La caffetteria, i gelati, le insalate, la frutta, i prodotti locali come le carni di Chianina, la Piemontese, la Marchigiana. Il cliente apprezza».

Vuol dire che andate bene? In America le vendite sono calate dell'-1,7 per cento a febbraio.

«Nel 2013 abbiamo avuto un giro d'affari di un miliardo di euro, il fatturato nel 2014 è cresciuto del due per cento e per il 2015 le stime sono molto maggiori. Ogni anno serviamo duecento milioni di pasti agli italiani: ecco che cosa abbiamo a che fare col Made in Italy...»

I locali che servono hamburger sono sempre più numerosi e sempre più chic. Non temete la concorrenza?

«È vero, nascono molte hamburgerie, anche perché negli ultimi cinque anni è l'unico segmento del “fuori casa” che sia cresciuto.

Per vent'anni siamo stati da soli a cercare di convincere gli italiani a mangiare hamburger: se diventa un'abitudine, se non è più considerato cibo “di serie B”, allora il mercato si può ampliare, e così i nostri clienti. Quindi siamo contenti».

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