Mediobanca l'ultima trappola di Nagel & C

Mps ha dimostrato di sapersi rialzare da sola. E lo stesso si chiede ora a Mediobanca. All'interno della prima linea tecnica dell'istituto milanese ci sono competenze solide, che meritano di essere valorizzate

Mediobanca l'ultima trappola di Nagel & C
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Ora che la scalata di Mps a Mediobanca può dirsi compiuta con buona pace di chi, fino a poche settimane fa, ne negava persino la plausibilità si apre una fase forse ancora più delicata: quella della gestione del cambiamento. Ed è proprio in questo snodo che torna a circolare, con un'insistenza che sa di regia, l'ipotesi di una "soluzione interna" per garantire una transizione ordinata ai vertici della merchant bank milanese.

Un passaggio morbido, si dice. Una figura-ponte per accompagnare l'integrazione con la banca senese e consolidare un nuovo equilibrio azionario. Un'ipotesi che ha trovato spazio anche sulle colonne del Giornale, con i nomi di Francesco Saverio Vinci, attuale direttore generale di Mediobanca, e Gian Luca Sichel, ceo di Mediobanca Premier.

Un'idea che sulla carta può apparire razionale. Ma che, a un'analisi meno ingenua, rivela i contorni di una mossa di retroguardia. Anzi: di un vero e proprio antidoto al cambiamento. L'ennesima poison pill confezionata da un gruppo dirigente in uscita, deciso però a non uscire del tutto. Pur avendo perso la guida formale della banca, il vecchio management punta a conservarne il baricentro strategico. O, quantomeno, a provare a condizionarlo dall'esterno.

L'amministratore delegato Alberto Nagel, del resto, non ha mai nascosto né nei fatti né nei toni la sua riluttanza a lasciare davvero il timone. Per oltre vent'anni ha governato Mediobanca non tanto per conto degli azionisti, quanto in nome di una governance sempre più chiusa, autoreferenziale, gelosa delle proprie prerogative e spesso impermeabile a ogni stimolo esterno. Una struttura capace di gestire tutto, tranne l'eventualità di essere messa in discussione.

Ora, con un ultimo colpo di coda Nagel sembra voler scrivere anche il primo capitolo del dopo-Nagel, scegliendo lui stesso chi dovrà guidare l'istituto che ha appena lasciato. Un gesto che più che senso di responsabilità, tradisce un preciso disegno di continuità indiretta.

Non è un caso che nella sua lettera di congedo abbia liquidato i nuovi azionisti con toni a metà tra l'ironia e il disprezzo, definendoli implicitamente "barbari" e auspicando in un curioso ribaltamento culturale, sostenuto da una citazione che non fa dimenticare l'intento che siano i conquistati a "civilizzare" i conquistatori. Ma chi conosce Luigi Lovaglio sa bene che né il termine "barbaro" né quello di "conquistatore" gli si attagliano. L'amministratore delegato di Mps non è un incendiario, ma nemmeno un ingenuo. Ha preso per mano una banca tecnicamente fallita e l'ha riportata in utile in tempi record, senza clamori e senza forzature. E da buon senese d'adozione, ha imparato in fretta a leggere tra le righe delle raffinate sebbene sempre più prevedibili strategie difensive di cui è capace Piazzetta Cuccia.

La verità è che dietro l'ipotesi della "soluzione interna" si cela il più classico dei rischi: quello di una discontinuità solo di facciata, che nella sostanza perpetua logiche ormai esaurite. A Siena, questa prospettiva non convince. Non per pregiudizio ideologico, ma per puro senso pratico. La linea è chiara: l'integrazione va gestita, sì, ma senza tutori autoeletti né transizioni pilotate dal passato. Il nuovo corso ha il diritto e il dovere di essere realmente nuovo.

Mps ha dimostrato di sapersi rialzare da sola. E lo stesso si chiede ora a Mediobanca. All'interno della prima linea tecnica dell'istituto milanese ci sono competenze solide, che meritano di essere valorizzate. Ma non è necessario né sano che a farlo siano ancora una volta gli uomini di una stagione che ha già detto tutto quello che poteva dire.

Anche perché oggi, finalmente, a Piazzetta Cuccia le azioni non si pesano più: si contano. E chi ha la maggioranza ha anche la responsabilità legittima e non delegabile di decidere. Non verso chi ha governato per convenienza, ma verso chi ora ha investito per cambiare.

In questo scenario, anche la suggestione di un possibile delisting agitata da più parti con foga sospetta appare più come una forzatura narrativa che un'opzione concreta. La normativa, infatti, consente anche oltre la soglia del 90% di ricostituire un flottante sufficiente a mantenere la quotazione.

Con benefici non solo simbolici, ma anche patrimoniali, per la stessa Mps.

La fase due è appena cominciata. E la sfida non è più quella di evitare il cambiamento. Ma di dimostrare che, una volta tanto, può essere davvero irreversibile.

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