Meno male che restiamo commissariati. È un commissariamento soft il nostro, certo. Non come quello che è toccato alla Grecia. Non è neppure dichiarato o previsto dai trattati. Ma sempre tale è. Una sorta di sovranità particolarmente limitata, che riduce i gradi di libertà della politica economica italiana, e che così ci mette al sicuro dal degrado della nostra classe politica e dal suo populismo credulone.
Spiace dirlo. Sembra un paradosso. Ma meno male che è andata così, che poco è cambiato nella visione economica delle istituzioni europee, come si era capito già dal 27 maggio e come, a dispetto della propaganda lepenista e salviniana del «cambiamo l'Europa», si è visto in tutta la sua ampiezza nelle nomine di Bruxelles. Meno male per noi, i nostri risparmi e per i nostri figli.
Ieri bastava guardare i mercati per cogliere in pieno il senso politico, economico e finanziario delle nomine e in particolare di quella di Christine Lagarde al vertice della Bce. La borsa di Milano in rialzo del 2,4% e lo spread in picchiata verso quota 198,6 ci dicevano una sola cosa: che la Lega antieuro dei minibot, insieme con la retorica anti-élite dei Cinque stelle, erano finite all'angolo, isolate, neutralizzate dal Grande Patto franco-tedesco, con la partecipazione di Visegrad. Altro che sovranisti. Di questi ultimi resta in testa solo la squallida iniziativa degli eurodeputati di Nigel Farage, che hanno voltato le spalle all'inno europeo. Poco altro. Mentre gli odiati Merkel e Macron hanno apparecchiato la tavola per i prossimi 5 anni, senza mai far vedere la palla. E non è forse neanche un caso che, in questo quadro, il rischio della procedura d'infrazione per l'Italia sembra sventato. Ma non certo per chissà quale virtù governativa, quanto più per l'intervento decisivo del Presidente Mattarella e dunque dell'asse Quirinale-Tria-Draghi.
Così, mentre Merkel si prepara a lasciare il potere in Germania, al vertice della Commissione Ue arriverà una sua fedelissima, Ursula von der Leyen.
E alla Bce, per sostituire Draghi, arriverà addirittura la francese Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale: l'organizzazione internazionale che, proprio insieme con Bce e Ue, forma la cosiddetta Troika, incubo degli Stati, come la Grecia, che hanno avuto bisogno di prestiti per evitare il default. Se mettiamo in fila questa successione di nomi, banchieri, ruoli e nazionalità, otteniamo qualcosa di molto simile all'anticristo dei sovranisti e dei grillini.
Meno male dunque. Nel senso del minore dei mali. Non siamo mai stati sfegatati tifosi dell'Europa a guida franco-tedesca. Né sostenitori delle politiche di austerità. Né tantomeno del commissariamento. Ma quando, nel 2011, l'Italia ha rischiato la Troika, si sarebbe trattato di un colpo di mano: è bastato, qualche mese dopo, che Draghi azionasse il famoso bazooka per capire che, al netto dello spread, il Paese ce la faceva con le sue forze. Da un anno a questa parte, invece, è il Paese stesso che sembra andarsela a cercare.
Con manovre in deficit, nazionalizzazioni, minibot, l'oro di Bankitalia e via dicendo. Ecco perché adesso l'Europa dei custodi dell'euro - vincente nelle urne - è diventata la nostra salvezza. Come una polizza assicurativa che, questa volta, siamo ben contenti di pagare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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