Cronache

"Mio marito uccise Laura ​nostra figlia di 11 anni, ma il paese 'accusa' me"

Parla Giovanna Zizzo, la madre della piccola Laura, uccisa il 22 agosto di 5 anni fa dal padre, che la colpì a coltellate

"Mio marito uccise Laura ​nostra figlia di 11 anni, ma il paese 'accusa' me"

"Mi chiamo Giovanna Zizzo e sono la mamma di una bambina uccisa una mattina d’agosto di cinque anni fa". Inizia così la lettera raccolta dal Corriere della Sera, scritta dalla mamma di Laura, l'11enne uccisa dal padre a San Giovanni La Punta, vicino a Catania.

L'uomo si scagliò contro la piccola, colpendola con un contello e ferendo anche l'altra figlia, che aveva tentato di difendere Laura. Fu salvata dai fratelli più grandi, che disarmarono il padre, prima che potesse fare altro male. Per quell'omicidio, la Cassazione lo ha condannato all'ergastolo.

Ma ora che le vicende giudiziarie si sono concluse, è arrivato il momento per la mamma della piccola di fare alcune riflessioni, su questioni che in questi anni sono passate in secondo piano. "Parlo delle istituzioni, dei miei concittadini, di tutto quello che sarebbe stato doveroso fare e non si è fatto per onorare la memoria di Lauretta e per essere dalla parte della mia famiglia. Per farci sentire meno soli, almeno", scrive la donna, rimproverando quanti non hanno fatto nemmeno un gesto di conforto nei confronti della famiglia della vittima. Non solo: "In alcuni sguardi leggo atti d’accusa, come se fossi stata io ad aver armato la mano del mio ex marito, io ad essermi allontanata dopo aver scoperto che aveva un’altra, io ad avere la colpa di non aver lasciato correre...". Accuse e pregiudizi a cui Giovanna ha dovuto sopravvivere, proteggendosi inizialmente dietro a un paio di occhiali neri, per poi capire di aver sbagliato, perché "io sono la mamma di Laura, ho lei dalla mia parte e potete pensare quello che volete".

Poi la donna si scaglia contro coloro che non hanno fatto nulla per ricordare la bambina, dalle istituzioni religiose al Comune, che non si costituì parte civile al processo. Alla sua morte, i compagni di classe di Laura piantarono un albero, che però ora "non esiste più: qualcuno lo ha distrutto e mi fa male pensare che abbiano preso a pallonate la fotografia di mia figlia". Nella città della piccola, "non c’è una targa, una stele, un pensiero per Lauretta".

Giovanna conclude sostenendo che il comportamento della comunità possa essere dovuto al "timore di esporsi troppo e una sorta di rispetto per la famiglia dell’assassino che impone un’assurda par condicio: niente per nessuno allo stesso modo. Ma noi siamo vittime, io e la mia famiglia siamo sopravvissuti". Infine si rivolge ai concittadini, per chiedere "di mettersi una mano sulla coscienza e di onorare la memoria di Lauretta, finalmente. L’uomo che decise di punire me uccidendo lei era mio marito, è vero, ma avrebbe potuto essere il marito di chiunque altra. Mi scrisse: 'Se tu mi avessi perdonato tutto questo non sarebbe successo'. Io non ti ho perdonato né ti perdono.

Spero che non ti perdoni né ti assolva la gente di San Giovanni La Punta".

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