Massimo Iorio detto Max era un impiegato modello, benvoluto da tutti. Aveva 38 anni quando, nel marzo del 1997, venne trovato morto nel suo appartamento di Rimini, ucciso da diverse coltellate. Intorno a lui un lago di sangue, un ammasso di vestiti e i suoi pesciolini rossi, uccisi a loro volta dallo stesso killer. Per 15 anni l'assassino di Massimo rimase un volto senza nome, disegnato grazie alla descrizione di chi lo vide in compagnia della vittima, la sera prima dell'omicidio. Poi nel 2012 la svolta, grazie al Dna che incastrò il responsabile di quel delitto rimasto per anni un mistero irrisolto. "Fu proprio l’analisi del Dna contenuto nelle macchie di sangue repertate sulla scena del crimine, unitamente all’analisi della saliva sui mozziconi di sigaretta, presenti anch’essi sulla scena del crimine, a essere fondamentale per poter attribuire al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’omicidio a Zoran Ahmetovic", ha spiegato al Giornale.it la dottoressa Francesca De Rinaldis, psicoterapeuta e criminologa, che si interessò al caso.
La scomparsa
Era il 20 marzo del 1997 quando il corpo senza di vita di Massimo Iorio, 38enne impiegato all'ufficio informazione del Comune di Rimini, venne rinvenuto nell'appartamento in vicolo Santa Chiara. Lì Max viveva da solo da due anni, dopo aver interrotto una precedente convivenza con un uomo. Sensibile, attento agli altri e molto legato alla madre, soprattutto da quando la donna aveva avuto un infarto. Così venne descritto ai tempi da due colleghe di lavoro, intervistate per il programma di Carlo Lucarelli, Mistero in Blu: "Aveva una sensibilità eccezionale - rivela una collega di Max, sentita nel corso della puntata - sentiva la gente e vedeva subito se una persona aveva dei problemi". Una persona perbene, appassionata al suo lavoro, riservata, tanto che in ufficio non sapevano fosse omosessuale, e amante degli animali. Max infatti teneva in casa con sé una boccia con tre pesciolini rossi, accuditi con cura.
Il giorno prima della sua morte, mercoledì 19 marzo, Massimo era andato a pranzo a casa della madre dove, intorno alle 15.30, aveva ricevuto una telefonata. Da chi non lo si saprà mai. Ma quella sera Max uscì per recarsi a un appuntamento con il suo ex compagno. Invece che arrivare da solo però si presentò in compagnia di un altro ragazzo, che chiamò Michele, come testimonierà l'ex convivente, e si allontanò con lui.
Il giorno successivo, giovedì 20 marzo, Massimo Iorio non andò al lavoro. "Siccome ultimamente Massimo a volte tardava, pensavo fosse in ritardo - disse una sua collega ai microfoni di Misteri in Blu - quindi abbiamo aspettato fino verso le 3, 3.30 e poi gli ho fatto una telefonata anche abbastanza arrabbiata, c’era la segreteria telefonica". Preoccupati per il silenzio di Iorio anche gli amici. Così quel giorno l'ex convivente andò a casa di Max e, vedendo dalle finestre la luce accesa, provò a suonare il campanello. Nessuna risposta. Allora l'uomo provò a chiamare Massimo al telefono. Niente. A quel punto recuperò la chiave di riserva nascosta ed entrò nell'appartamento. Lì gli si presentò di fronte uno strano scenario: oltre alla mancanza dello stereo, che era sparito dal mobile sopra cui era solitamente appoggiato, sul pavimento della camera da letto era sparso un mucchio di vestiti, vicino al tavolino che aveva una gamba rotta. E lì trovò il cadavere di Massimo Iorio.
I pesciolini rossi
Il corpo di Max giaceva in una pozza di sangue e acqua. Attorno a lui un disordine fuori dal comune: vestiti sparsi a terra, il tavolino rovesciato con una gamba rotta e la boccia dei pesci rossi poco lontano dal corpo. L'acqua era stata versata a terra e i pesciolini morti. Uno era stato buttato nella spazzatura della cucina, mentre gli altri due si trovavano sul pavimento della camera da letto, uccisi dalla stessa mano che aveva colpito Max.
Ma come era finita la boccia dei pesci in camera da letto? Secondo la ricostruzione fatta nel 1998 dal vicebrigadiere della Scientifica di Bologna, Silio Bozzi, il primo pesciolino sarebbe stato ucciso durante un diverbio che Max e il suo assassino avrebbero avuto in cucina. Nel corso della lite, il killer avrebbe preso uno dei pesciolini dalla boccia e, dopo averlo schiacciato e calpestato, lo avrebbe buttato nella spazzatura. Dopo la morte di Iorio, l'assassino avrebbe preso la boccia con i due pesci restanti e la avrebbe rovesciata addosso alla vittima, uccidendo poi anche i piccoli animali. Si ipotizzò anche che la brocca potesse essere stata usata per tramortire Max, prima del delitto.
Questi gesti portarono gli inquirenti a pensare a un possibile omicida passionale che, consapevole dell'amore di Max per gli animali, avrebbe voluto compiere un ultimo gesto di sfregio, colpendo anche i pesciolini rossi. La dottoressa Francesca De Rinaldis ha spiegato al Giornale.it che l'uccisione degli animali di proprietà della vittima, se interpretata prima dell'individuazione del killer, può essere considerata "esemplificativa di un agito di estrema aggressività, quasi di sfregio ulteriore, verso la persona di Iorio e ciò che quel corpo rappresentava in quel momento per l’assassino, ossia un oggetto da cui difendersi, poiché temibile e quindi da distruggere". Per questo si iniziò a indagare sulle frequentazioni della vittima e, in particolare, sul suo ex fidanzato, che però venne scagionato, mentre dalla cerchia di amici di Massimo non emerse nulla di rilevante.
Dopo l'arresto di Ahmetovic, il comportamento dell'assassino nei confronti dei pesciolini rossi di Iorio assume un altro significato, dato che la storia dell'uomo è caratterizzata da "uno stato psicologico fortemente alterato". L'omicida, ricorda la dottoressa De Rinaldis, "soffriva di allucinazioni visive, uditive e olfattive, che sarebbero intervenute anche la sera dell’omicidio di Iorio. Ahmetovic riferisce che dopo aver strangolato Iorio ha avuto la visione di due angeli che prendevano appunti ed aver deciso successivamente a tale visione, che possiamo affermare fosse un’allucinazione, di infierire ulteriormente sul corpo della vittima con sei coltellate. Quindi certamente Ahmetovic è una persona affetta da gravi disturbi di natura psicopatologica, che possono aver avuto un ruolo sia nell’impulso che nella dinamica omicidiaria".
Il delitto
Ma quale fu la dinamica dell'omicidio e come venne ucciso Massimo Iorio? Sul suo corpo vennero rinvenuti segni di diverse percosse, in particolare sulla parte destra del volto, mentre il petto era stato trafitto con sei coltellate. Dietro la nuca inoltre il segno di un colpo violento. All'epoca si ipotizzò una colluttazione con l'assassino mentre Max, impaurito, sarebbe scappato in direzione della camera da letto. A causa della fretta o per intervento del killer (che potrebbe averlo spinto o colpito con la brocca dei pesci), Max sarebbe poi caduto sul tavolino rompendone una gamba, e sarebbe rimasto privo di sensi. A quel punto, stando alla ricostruzione fatta nel 1998 dal vicebrigadiere Silio Bozzi nel corso del programma Mistero in Blu, l'assassino si sarebbe recato in cucina, avrebbe preso un coltello e avrebbe colpito Iorio con sei coltellate.
Quando venne ritrovato il corpo, Max indossava dei vestiti da donna e accanto a lui gli inquirenti trovarono una parrucca. Ma qualcosa non convinse gli investigatori dell'epoca: Massimo era omosessuale, ma non si vestiva da donna, inoltre le scarpe e la calzamaglia erano indossate male e in vita aveva una cintura che non serviva a nulla. Per questo si ipotizzò che la vestizione potesse essere avvenuta dopo l'omicidio, per opera dell'assassino, che poi avrebbe rovesciato il contenuto della boccia coi pesciolini rossi sul cadavere.
Anni dopo, quando venne arrestato, Ahmetovic confessò di aver incontrato Iorio per la prima volta la stessa sera dell'omicidio. "Lo stesso Ahmetovic - precisa la dottoressa De Rinaldis - riferì ai propri legali che egli avrebbe agito in reazione alla proposta-invito di Iorio di avere un rapporto sessuale con lui. Sarebbe dunque il rifiuto per la proposta di Iorio ad aver determinato in Ahmetovic l’impulso a ucciderlo".
Ma è necessario fare alcune precisazioni. Innanzi tutto, spiega la dottoressa De Rinaldis al Giornale.it, bisogna tenere presente "che nella dinamica di questo omicidio concorre anche la circostanza relativa all’assunzione di alcol e droga, che autore e vittima avrebbero assunto insieme la sera stessa in casa di Iorio. Non è da escludere la presenza di uno stato di alterazione psicologica causato anche dall’assunzione di droga e alcol, che può dunque aver avuto incidenza significativa nell’agito criminale di Ahmetovic". Inoltre, nel corso del processo, è emerso che l'omicida soffriva di "gravi alterazioni psicopatologiche, tra le quali forme di delirio e la diagnosi di un disturbo bipolare".
Nel 1997 gli inquirenti analizzarono la scena del crimine. Max doveva aver passato parte della serata con il suo assassino, dato che erano ancora visibili le tracce della loro presenza in quella casa: due bicchieri quasi vuoti e diverse sigarette nel posacenere. Ma qualcosa mancava all'appello: lo stereo che Massimo teneva sul mobiletto era sparito, così come l'automobile della vittima, una Polo bianca. Quella notte un ragazzo che abitava nell'appartamento di fronte a quello di Iorio si affacciò alla finestra intorno alle 22.40 e vide una persona, che non riconobbe come Max, uscire dalla casa della vittima con qualcosa di grosso in mano e salire sulla Polo bianca. L'auto venne ritrovata 4 giorni dopo, venne esaminata, ma non venne rilevata nessuna traccia utile.
L'autopsia stabilì che Iorio venne strangolato e poi colpito con sei violentissime coltellate. L'arma del delitto venne trovata incastrata dietro il frigorifero, piegata. Probabilmente, si pensò, l'assassino aveva cercato di spezzarla o piegarla in due per poterla portare via dall'appartamento senza essere visto e liberarsene in un momento successivo. Ma, non riuscendoci, la nascose dietro il frigorifero. Gli inquirenti analizzarono il coltello alla ricerca di impronte digitali. Nulla. Prima di andarsene, il killer ripulì accuratamente tutte le tracce lasciate in casa. Tutte, tranne una: una goccia di sangue, caduta sul ripiano dove Max teneva lo stereo. Fu proprio quella goccia di sangue a portare, 15 anni più tardi, alla soluzione del giallo.
La soluzione dopo 15 anni
Nelle indagini immediatamente successive alla morte di Massimo Iorio, quella goccia di sangue rimase solamente un indizio in mezzo agli altri. Ma gli investigatori non arrivarono alla soluzione e, nonostante i sospetti che coinvolsero alcune conoscenze di Max, il delitto rimase per anni un mistero. "All’epoca dell’omicidio di Iorio, nel 1997 - spiega Francesca De Rinaldis - l’analisi del Dna non era ancora conosciuta e non era applicata all’investigazione. La genetica quindi non faceva ancora parte della grande famiglia delle cosiddette 'scienze forensi', di cui oggi al contrario ne è probabilmente una delle più alte rappresentanti".
Nelle mani degli inquirenti c'era anche l'identikit dell'assassino. Ma allora come mai il caso è rimasto insoluto per 15 anni? "Credo che molti dati allora disponibili, come le tracce di sangue, potessero dare risposte solo nell’epoca attuale alla luce delle moderne scienze forensi applicate all’attività di indagine - ha spiegato la dottoressa De Rinaldis - Potremmo azzardarci a dire che questo sarebbe potuto essere 'il delitto perfetto', fino all’applicazione delle più attuali tecniche di indagine arricchite dal supporto di accorgimenti scientifici e tecnologici".
Il delitto sembrava destinato a rimanere senza un colpevole fino a quando, nel 2011, il sostituto procuratore Paolo Gengarelli ebbe l'intuizione di ripescare i reperti di quell'omicidio, per analizzarli con le nuove tecnologie che nel frattempo si erano affermate in campo investigativo, prima tra tutte l'analisi nel Dna. Era stata, infatti, istituita "l'Unità delitti insoluti, relativa ad una possibile analisi del Dna che finalmente poteva essere applicata al caso". Così la goccia di sangue trovata sul mobiletto che ospitava lo stereo e le sigarette lasciate nel posacenere vennero sottoposte alle analisi. I risultati vennero confrontati con i campioni di Dna prelevati alle persone che nel 1997 finirono al centro delle indagini. "Sappiamo che le prime indagini portarono all’individuazione di circa 9 sospettati - ha ricordato la dottoressa De Rinaldis - ma in nessuno di loro fu possibile individuare l’autore dell’omicidio". Ancora una volta, l'omicidio di Massimo Iorio rimase un mistero. E sarebbe finito tra i delitti insoluto, se non fosse stato per la "combinazione delle tecniche investigative classiche con le più attuali scienze forensi".
Nel 1997 all'assassino era stato dato un volto, grazie alla testimonianza dell'ex compagno di Massimo, che fece un identikit di Michele, l'uomo che aveva visto in compagnia della vittima la sera prima della sua morte. E fu proprio il disegno di questo volto, unito al Dna estrapolato dalla goccia di sangue e dalle sigarette, a portare all'assassino di Massimo Iorio, 15 anni dopo la sua morte: "Sarà dunque proprio la corrispondenza tra l’identikit e le risultanze delle indagini di laboratorio a determinare i dati che porteranno senza dubbio alla persona di Zoran Ahmetovic", ha spiegato Francesca De Rinaldis. La procura di Rimini inviò la relazione della polizia scientifica al Ris di Parma che scoprì la possibilità che uno dei profili genetici isolati potesse essere attribuito alla famiglia nomade Ahmetovic. Gli investigatori risalirono a un nucleo della famiglia, che all'epoca dei fatti era presente a Rimini. Così, confrontando i membri della famiglia con l'identikit, si arrivò a Zoran Ahmetovic, bosniaco, all'epoca del caso ventenne, che il 23 gennaio 2012 confessò l'omicidio di Massimo Iorio.
L'uomo, spiegò la questura, come riportato dal Resto del Carlino, "si è assunto ogni responsabilità per l’omicidio di Massimo Iorio".
Nel febbraio 2016, il giudice condannò Zoran Ahmetovic a 16 anni di carcere, oltre che all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e al pagamento delle spese legali e di 10mila euro a testa alle due parti civili.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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