Cronache

Modena, stuprò e mise incinta figlia 13enne, condannato ghanese

Il raffronto tra il Dna del feto e quello del padre della ragazzina non lascia adito a dubbi: fu lui ad abusare della piccola. La difesa non si arrende e, parlando di fenomeno spiegabile dalla “consanguineità”, prepara le carte per il secondo grado di giudizio

Modena, stuprò e mise incinta figlia 13enne, condannato ghanese

È arrivata nella giornata di ieri a Modena la sentenza di primo grado su uno squallido episodio di violenza sessuale su minore datato 2015.

Il giudice Eleonora Pirillo, con rito abbreviato, ha determinato una pena di sei anni e mezzo per quel padre ghanese di 40 anni che ha ripetutamente stuprato la figlia tredicenne arrivando addirittura a metterla incinta.

Una vicenda drammatica per la piccola, che tra fine maggio ed inizio giugno del 2015 si recò in consultorio accompagnata proprio dallo stesso padre, all’epoca pastore della comunità di credenti ghanesi. Della improvvisa e inattesa gravidanza fu da subito accusato il fratello, minorenne come lei. Tuttavia questa ipotesi si era venuta a costruire tramite la testimonianza di una ragazzina spaventata e molto confusa a riguardo, cosa che spinse gli inquirenti ad affidare le indagini alla procura dei minori di Bologna.

Quando il caso tornò a Modena, il Pm Katia Marino decise di richiedere un raffronto tra il Dna del feto (subito dopo fu effettuato l’aborto) e quello del fratello della 13enne. Poco dopo la stessa procedura fu effettuata anche sul padre.

Gli esiti della consulenza tecnica non lasciavano, tuttavia, spazio a fraintendimenti, visto che il fratello venne immediatamente scagionato dalle accuse infamanti. La colpa ricadde sul padre, contro il quale fu aperto un fascicolo per violenza sessuale aggravata, oltre che per abuso di mezzi di correzione, dato che la piccola fu più e più volte pestata dal genitore anche con l’ausilio di un bastone. La moglie ed i due figli dell’uomo furono allontanati da casa ed affidati alle amorevoli cure di una comunità protetta.

Inutile dire che il ghanese continua a proclamare la propria innocenza. Dal canto loro i suoi avvocati attaccano l’esito delle indagini scientifiche, trincerandosi dietro la questione “consanguineità”, cosa che spiegherebbe la compatibilità del patrimonio genetico tra feto e padre della 13enne.

Si preannuncia quindi un secondo grado di giudizio.

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