Il Monte Bianco in Sardegna è lo specchio della scuola

I problemi causati dall'organizzazione della scuola italiana

Il Monte Bianco in Sardegna è lo specchio della scuola

Prima domanda. In quale Regione si trova il versante italiano del Monte Bianco? In Sardegna, secondo un giovane ed emozionato concorrente dell'Eredità, popolarissimo quiz in onda su Raiuno. Uno svarione divertente, diventato subito virale in Rete. Seconda domanda. In quale nazione l'espressione «buona scuola», inventata dall'ex premier Matteo Renzi, maschera il caos nelle aule? L'Italia. Risposta esatta come dimostrato dai numeri pubblicati ieri sul Corriere della Sera. La mobilità, gestita male, si è trasformata in una diabolica giostra impazzita. Un po' di contabilità. Quest'anno un ragazzo su tre ha cambiato almeno un docente. Sono in ballo 250mila professori e due milioni e mezzo di alunni. In un liceo classico di San Benedetto del Tronto, ogni mese arriva il nuovo supplente di inglese. Per ora sono a quota quattro. A Nord, le classi sono sovraffollate. A Sud, gli studenti sono in calo ma cresce il numero di maestri e professori.

La confusione organizzativa, in realtà, non è una novità: si è «solo» aggravata. Forse non è neppure il principale tasto dolente. Lo sfacelo è iniziato quando la didattica, il come si insegna, ha preso il sopravvento sui contenuti, il cosa si insegna. I programmi si sono allontanati dal buonsenso: addirittura, all'inizio del millennio, si pretendeva che il professore non «imponesse» le regole della grammatica ma facesse nascere nello studente la consapevolezza della loro esistenza. Poi si chiedono come mai le tesi di laurea siano piene di errori da prima elementare...

Grammatica, geografia, storia, letteratura: tutto è finito nel tritacarne della scuola «democratica» così rispettosa dei ragazzi da sminuzzare le materie e far scendere il professore dalla cattedra. La scuola dunque non insegna come potrebbe e dovrebbe. A questa lacuna si somma l'adorazione acritica della Rete, fornitrice di sapere pronto all'uso. A cosa servono le nozioni? In fondo possiamo recuperarle al volo con uno smartphone. Il Monte Bianco? Cerchiamolo su Google Maps. La conoscenza l'abbiamo in tasca. Inutile riempire la testa di nomi e date. Basta un clic.

Imparare (a memoria) e strutturare le informazioni apprese in un coerente discorso orale o scritto sono ormai considerate attività di secondaria importanza rispetto a saper interrogare con abilità un motore di ricerca. Certo, si invita a distinguere le buoni fonti da quelle cattive ma anche questa cautela presto o tardi sarà messa in disparte. È infatti opinione sempre più diffusa che la quantità di informazioni, superata una certa soglia, si trasformi automaticamente in qualità dell'informazione. Wikipedia, l'enciclopedia on line aperta alla collaborazione degli utenti, si fonda su questo principio. C'è qualcosa di vero in questa mentalità ma non può bastare.

La Rete deve essere un utile strumento nelle mani di persone istruite da una scuola funzionante, cioè all'antica, per essere chiari. Altrimenti come rispondere alle domande dell'Eredità? La geografia non si studia più, il telefonino in televisione non si può portare. L'Arno? Mah, sarà il fiume che attraversa Milano.

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