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"Ne chiediamo la punizione". Ecco la querela contro Chef Rubio

L'esposto presentato dai consiglieri comunali di Fratelli d'Italia: "Apprezzamenti gravemente diffamatori nei confronti degli umbri"

"Ne chiediamo la punizione". Ecco la querela contro Chef Rubio

Il Tweet di Chef Rubio aveva già sollevato diverse polemiche. Erano i giorni delle elezioni regionali in Umbria, della vittoria di Donatella Tesei, del crollo della roccaforte rossa governata dal dopoguerra dal centrosinistra. Il cuoco, noto per la sua trasmissione tv e per gli aspri scontri con Matteo Salvini, sui social s'infuriava contro Conte, parlava di "razzisti umbri" e evocava "peracottari" che avrebbero dato "le pizze" al presidente del Consiglio. Un mese dopo, il cinguettio è finito all’interno di una denuncia presentata dai consiglieri FdI del comune di Perugia che lo accusano di aver "diffamato" gli elettori della regione senza mare.

L’atto, che ilGiornale.it ha letto interamente, è stato depositato in Procura dall’avvocato Nicola Di Mario. A firmarlo Michele Nannarone, Paolo Befani, Fotinì Giustozzi, Federico Lupattelli e Ricardo Mencaglia. Per i consiglieri, Gabriele Rubini (nome di battesimo dello chef) avrebbe espresso sui social "apprezzamenti gravemente diffamatori nei confronti degli umbri" facendo "specifico riferimento alle ultime elezioni amministrative".

Il Tweet in questione risale al 29 ottobre, giorno del via libera del governo Conte II allo sbarco della Ocean Viking. L’imbarcazione dell'Ong in quelle ore riceve il via libera all’ingresso in acque nazionali "dopo 11 fottuti giorni". In effetti, nonostante il Pd non sia più all’opposizione e Matteo Salvini abbia ormai lasciato il Viminale, l’esecutivo giallorosso non aveva ordinato l’immediato approdo della nave umanitaria. Ma l'aveva lasciata in mare aperto, più o meno come avrebbe fatto il leghista da ministro dell’Interno. Il motivo di tanto ritardo sarebbe stato dovuto alle elezioni regionali imminenti: perdere l’Umbria sarebbe una brutta botta per la neonata (e poi morta) alleanza M5S-Pd alle amministrative. Così Conte "sperando d’avere qualche voto in più dai razzisti umbri", avrebbe "preferito attendere per dare l’ok". Solo che poi le elezioni sono andate male e si è "preso le pizze comunque da quei peracottari e fatto ciò che doveva, in ritardo".

L’odore di "diffamazione" i consiglieri FdI lo sentono sia in quel "razzisti umbri" che nella parola "peracottari", di solito non certo usata per rivolgersi alla regina Elisabetta. My Lord. Va detto che, successivamente, il cuoco ha provato a spiegare meglio la propria posizione a tutti quegli "analfabeti funzionali" che gli stavano "frantumando le palle": "Razzisti umbri - ha detto - sta per quei razzisti tra gli umbri, sennò avrei detto umbri razzisti. Peracottari se il soggetto è Conte è ovvio che mi riferisco ai suoi avversari politici e non agli abitanti umbri…". Bene. Per chi denuncia, però, i "contenuti linguistici" usati da Rubini contengono "un inequivocabile valore offensivo" che lede il loro "decoro, onore, dignità e reputazione".

La "tardiva rettifica" dello chef, inoltre, non avrebbe migliorato le cose: "In ragione della loro appartenenza politica in contrasto con la coalizione che sostiene l’attuale Presidente del Consiglio - si legge nella querela - risultano dunque apostrofati come razzisti umbri". Secondo l’avvocato, che cita una sentenza della Suprema Corte, la "specificazione fornita dall’autore" non fa altro che "attribuire" ai consiglieri firmatari "la qualifica" di vittime della presunta diffamazione, "legittimandoli, per l’effetto, alla formalizzazione della presente querela". Ecco un sillogismo: per chef Rubio gli "avversari politici" di Conte sarebbero "peracottari"; i consiglieri sono avversari politici del premier; dunque sarebbero "peracottari".

Per il legale è da escludersi che il tweet possa apparire come "legittimo esercizio del diritto di critica".

E visto che i consiglieri non hanno intenzione di farsi definire "razzisti" o "peracottari" da nessuno, ora la palla passerà al pm. Che dovrà decidere se scomodare lo chef per portarlo dalla cucina alla sbarra.

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