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Nel campo rom abusivo, tra i rifiuti, senza acqua e senza bagni

Siamo entrati nel campo rom abusivo di Acerra, nel Napoletano. Le baracche dovranno essere smantellata entro fine mese

Nel campo rom abusivo, tra i rifiuti, senza acqua e senza bagni

Senza acqua, senza bagni, sommersi dai rifiuti. Sono disumane le condizioni in cui vivono le famiglie rom che occupano abusivamente un campo nella periferia di Acerra (Napoli). Diversi sono i minorenni che vi abitano. Fra un mese non avranno più nemmeno le loro baracche: entro la fine di dicembre dovranno demolirle e ripristinare lo stato dei luoghi, glielo ha imposto il Comune con un’ordinanza dirigenziale. L’alternativa sarà la strada. “Ma potremmo mai abbattere le nostre case?”, riflette uno dei capifamiglia dei vari nuclei che occupano il fondo in località Candelara. “Noi da qui non ci muoviamo”, assicurano alcune donne dell’accampamento.

La baraccopoli esiste da almeno 30 anni. Si apre lungo una strada provinciale, tra distese di terreni coltivati. Al di là di una barriera fatta di rifiuti di ogni genere, alle 11 del mattino di un giorno feriale si scorgono dei bambini giocare. Sono in sei, cugini, tutti in età scolastica. Spiccano gli occhi di ghiaccio sul viso sporco di una delle piccolette. “Io e mia sorella, ci andiamo a scuola. Solo che stamattina si entrava alle 11 e papà non c’era per accompagnarci”, si affretta a spiegare un 13enne. Poco più avanti, sul ciglio della strada, attaccata a una recinzione fai-da-te, c’è una lapide con la foto di un bambino morto nel 2000. “È stato investito da una macchina”, dicono due giovani uomini dell’accampamento. “Vanno veloci con le auto. Anche io una volta sono stato investito”, racconta uno dei due, che svela tra l’altro una presunta sparatoria che sarebbe avvenuta 7o 8 mesi fa sotto a un ponte che si trova all’esterno, di fronte al campo. Nello stesso posto, tre anni prima un ragazzino del campo era stato preso in pieno da un’auto: “Si trova ancora in ospedale”, raccontano i familiari mostrandoci le sue foto. Oggi ha 18 anni e si muove con una sedia a rotelle. Sicurezza zero. E le condizioni igieniche ancora peggio.

Nel campo non c’è acqua. Gli occupanti vanno a recuperarla altrove con dei bidoni. I vestisti li lavano usando l’acqua piovana raccolta in un fusto, così fa una delle donne che ha 6 figli. Di servizi igienici non ce ne sono. In uno dei tre settori in cui le famiglie hanno suddiviso il villaggio, un papà 36enne ci mostra il bagno che ha costruito sul terreno. “Ho creato una fossa”, spiega, mentre le mosche continuano a poggiarsi sul vaso sozzo sopra una specie di pavimento lurido. Tutto intorno ci sono rifiuti. Circondano le baracche, dentro e fuori il campo. “Due anni fa il Comune venne a pulire, ci lasciarono i bidoni per fare la raccolta differenziata. Passavano due volte a settimana. Ma da due mesi non vengono più e noi questa spazzatura dobbiamo pur metterla da qualche parte”, afferma un “vecchio” della baraccopoli. Nega di bruciare rifiuti, attività che il suo vicino di baracca riconosce che venga svolta anche dai rom. Ma nell’aria la puzza è terribile. Nei casotti ci sono delle stufette che bruciano non si sa cosa. In uno di essi c’è una bombola del gas vicino a un focolare arrugginito. Dai comignoli esce fumo nero e ammorbante. “Bruciamo quella legna”, rivela uno di loro. E indica la legna ammucchiata in un angolo dello spazio riservato alle baracche della sua famiglia. È legna trattata, verniciata, che se combusta produce fumo tossico. Ma con quel fuoco loro ci cucinano, anche per i loro bambini. “Se non abbiamo soldi, come facciamo?”, si giustifica una mamma.

“Non riusciamo a vivere con questi rifiuti qui. Sappiamo che possono causare malattie”, ci dicono dei bambini. E aggiungono: “Ma se non vengono a prenderla noi dove la dobbiamo mettere? Pure gli italiani vengono e la buttano lì”. E così la monnezza va a riempire una piccola area a ridosso del campo e l’area verde oltre il guardrail, quello situato nel lato opposto della carreggiata lungo la quale sorge la baraccopoli. Gli uomini del campo dicono di fare dei lavori a nero: “Coi mercati vendiamo roba usata, per sopravvivere”. Ma non è abbastanza per potersi permettere un alloggio.

“Il Comune ci dia qualche container – è la loro richiesta - o qualche posto dove noi possiamo vivere tranquilli e i nostri figli possono andare pure a scuola”. “Così possiamo vivere bene – aggiungono i bambini – Anche noi vogliamo avere una vita come la vostra, ma se non ci danno un’opportunità, noi come facciamo?”.

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