L'Italia tecnicamente è in recessione, perché il Pil è decresciuto per due trimestri consecutivi. Essa non dipende dalla «cattiva Europa», ma dalla politica italiana, perché, come rileva l'Istat, nell'ultimo trimestre, sono diminuite la produzione agricola (poca cosa) e quella industriale (effetto molto grande), ma le esportazioni sono aumentate, sicché non è calata la domanda estera, ma quella interna, in parte di beni di consumo e in parte di beni di investimento. In sostanza, la causa della recessione sta nel fatto che lo spread attorno a 250 punti e le incertezze sul futuro, dovute alle clausole di salvaguardia Iva e alle liti nel governo, hanno indotto i risparmiatori ad aumentare i risparmi per reintegrare le perdite dovute alla riduzione di valore dei loro titoli e coprire i rischi futuri. Pertanto il disavanzo di spesa corrente non ha avuto alcun effetto espansivo, ha avuto l'effetto opposto (c'è, al riguardo, un teorema neo keynesiano di Franco Modigliani, premio Nobel dell'economia).
Sulla domanda di investimenti dei privati hanno pesato negativamente gli spread che hanno ridotto le capacità di credito delle banche, le incertezze sulla futura tassazione (clausole di salvaguardia), le liti nel governo e quelle con l'Unione europea, che hanno generato ulteriore incertezza, inducendo a sospendere gli investimenti e a fare contratti di lavoro a termine, anziché contratti permanenti. Gli investimenti pubblici sono stati bloccati dal governo in parte perché non ci sono fondi ma soprattutto perché i 5 Selle sono contro le grandi opere, comprese quelle i cui lavori sono in corso e i finanziamenti sono in larga misura dell'Unione europea. Dunque, chi è causa del proprio male pianga se stesso e, soprattutto, pensi ai rimedi, che consistono nel fare le grandi opere, nel ridurre le spese correnti che tendono a persistere e a crescere nel tempo, come il reddito di cittadinanza, a copertura del quale servono le clausole di salvaguardia Iva.
Invece quota 100 di per sé si configura come una misura transitoria, seppure rinnovabile, il cui onere per la finanza pubblica dipende dall'entità della riduzione della pensione derivante dall'andata a risposo anticipata. È vero che il pensionamento anticipato comporta per l'Inps un esborso maggiore subito e un risparmio di spesa futuro, quindi un grosso problema di cassa. Ma esso si può risolvere con una operazione finanziaria, il cui costo sta solo nel tasso di interesse che viene utilizzato, per riportare al presente i risparmi di spesa futuri. L'onere di bilancio si può contenere e calcolare agevolmente.
Per il reddito di cittadinanza, con la recessione, invece, si profila una dilatazione della spesa, dovuta alla nuova disoccupazione. A sua volta questa dilatazione di spesa, generando nuovi deficit, può generare nuova disoccupazione perché il debito pubblico si riduce di meno e più lentamente. Secondo l'Istat si può prevedere che la recessione duri per (quasi) tutto il primo semestre, con un rimbalzo nel secondo. L'Istat ha stimato che il Pil del 2018 cresca dello 1% sul 2017. Ma poiché i giorni lavorativi del 2018 sono di più, il Pil corretto per gli effetti del calendario, nel 2018, è cresciuto dello 0,8.
Posto che questa sia la crescita tendenziale del Pil, nel secondo semestre del 2019, si avrebbe una crescita dello 0,4 (metà della crescita tendenziale annua di 0,8). Ma la ripresa del Pil e dell'occupazione dipende dalle scelte che si faranno entro marzo, fra cui campeggia il Sì Tav, come simbolo di tutti i «sì» che occorre dire al posto dei «no».
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