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Quel No che Landini non ha il coraggio di dire

Che il segretario generale della Cgil Landini abbia per temperamento - del fegato, crediamo che nessuno possa negarlo. Ma non si capisce che fine abbia fatto il suo coraggio

Quel No che Landini non ha il coraggio di dire

Che il segretario generale della Cgil Landini abbia per temperamento - del fegato, crediamo che nessuno possa negarlo. Ma non si capisce che fine abbia fatto il suo coraggio quando ha dato ai suoi iscritti una indicazione di voto per il referendum del prossimo 20 settembre da pesce in barile. Ha infatti spiegato in modo impeccabile ai suoi iscritti perché una vittoria del «Sì» sarebbe catastrofica per loro e per la democrazia parlamentare, evitando di dire che, a suo parere, si deve votare «No», senza i famosi «se» e «ma». Hanno vinto i se e i ma, ovvero ha vinto alla fine una vecchia conoscenza: la doppiezza.

Perché non abbia avuto il coraggio, è evidente, ma allo stesso tempo poco onorevole. La Cgil, una volta eliminato Renzi, è tornata ad essere più o meno la cinghia di trasmissione del Pd, il quale, però, se ne sta in mezzo al guado referendario non sapendo che rospi prendere. Zingaretti è infatti prigioniero del ricatto dei Cinque stelle, che lo hanno già bidonato e vive aggrappato alla speranza della vittoria del «Sì» per scongiurare la morte politica. Zingaretti è sempre più solo mentre vede, giorno dopo giorno, dichiararsi dalla parte del «No» gli intellettuali come Cacciari, gli esponenti storici del partito come Zanda, uomini come Giorgio La Malfa o donne come la Bonino che considerano questo referendum sul taglio dei parlamentari come un referendum contro la democrazia. Cose che Landini ha perfettamente chiare e che infatti spiega lucidamente ai suoi iscritti, cui dice che tagliare il numero dei parlamentari avrà come effetto la paralisi legislativa.

A questo punto ci si sarebbe aspettati che Landini annunciasse che due più due fa ancora quattro e non un numero a piacere. Invece, ha scelto il numero a piacere. Anziché dire che una vittoria del «Sì» sarebbe una sconfitta della democrazia e, quindi, anche dei cittadini iscritti al suo sindacato, Landini si è squagliato dalla porta di servizio della «libera scelta». Libera scelta di che? Come fa a dare questa indicazione dopo avere detto che questo referendum è una truffa e che una vittoria del «Sì» sarebbe una catastrofe democratica? Quando si ha il coraggio delle premesse ma manca quello delle conseguenze, si cade in un pantano allusivo che è il contrario della chiarezza. Sembra infatti di essere tornati alle convulsioni contorte che caratterizzavano la vita sindacale e di partito ai tempi della doppiezza causata dall'Unione Sovietica, quando le anime belle del sindacato (e del partito) dicevano una cosa per intendere quella opposta. È tristissimo e, anzi, grottesco che oggi il motivo della doppiezza della Cgil stia nell'alleanza con il M5S, con cui la segreteria balla il tango sull'orlo del baratro. È una situazione ridicola, oltre che paradossale: il movimento Cinque stelle ha dato buca al Pd sulla questione delle riforme parlamentari e istituzionali che dovevano venire prima del referendum, trattandolo a pesci in faccia. E, mentre Zingaretti cerca di togliersi l'odore dei pesci in faccia, il sindacato di riferimento del Partito democratico gli dà torto marcio, ma poi evita di dare una indicazione chiara e precisa ai suoi iscritti per il voto del 20 settembre. È ovvio che una tale indicazione, se espressa con nettezza, sarebbe stata un ceffone per Zingaretti. E che la realpolitik che non è l'arte del coraggio sconsiglia i ceffoni. Ma allora Landini avrebbe dovuto forse evitare di spiegare per filo e per segno perché secondo lui una vittoria del «Sì» sarebbe una botta mortale alla democrazia rappresentativa. Non era obbligato, avrebbe potuto essere vago e sfumato, mentre ha preferito essere chiaro e tagliente, salvo poi darsela a gambe con la libera scelta che con quelle premesse non può essere affatto libera. Ed è un peccato, perché questa era la prima volta che la Cgil aveva preso posizione per un «No» maturato in base a un ragionamento di interesse generale. Ma l'appuntamento alla fine è stato mancato e l'aggancio non è avvenuto.

Landini resta così con i piedi in due staffe, secondo le regole della furbizia e della doppiezza: se vince il «Sì», potrà dire che lui stesso non l'aveva sconsigliato e se vincerà il «No» potrà dire che era esattamente ciò che lui sperava.

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