Coronavirus

Contagi, ricoveri e decessi: ecco tutta la verità sui numeri

I dati sono in aumento. Le mascherine tornano obbligatorie. Viene evocato il lockdown. Ma non è come a marzo: ecco il perché

Contagi, ricoveri e decessi: ecco tutta la verità sui numeri

C'è un brutto vizio duro a morire da cui la gran parte dei giornali non riesce proprio a guarire. Quello di continuare a basare l'informazione quotidiana sul coronavirus su un dato sostanzialmente falsato, un po' bugiardo, sicuramente impreciso: il numero dei nuovi contagi. Ormai da marzo ogni sacrosanto giorno su tutte le prime pagine campeggia quel numero magico influenzato da troppi fattori per essere preso in considerazione. Certo fa effetto leggere di 4mila o 5mila persone infette in più. Ma non è un'informazione utile.

Prendiamo ad esempio quanto sta succedendo in queste settimane, con i contagi in rialzo, il governo che impone le mascherine ed evoca nuovi lockdown. Ieri il bollettino della Protezione Civile segnava quota 4.458 contagi, praticamente lo stesso del 23 marzo (data che prenderemo a riferimento) quando l'Italia piangeva la carovana di mezzi dell'esercito carichi di bare e registrava 4.789 nuovi positivi. Direte: siamo allora allo stesso punto, ogni allarme è giustificato. E invece no. Non è proprio così.

Come avevamo provato a suggerire (inascoltati) alcuni mesi fa, e come è spiegato nel "Libro nero del coronavirus: retroscena e segreti della pandemia che ha sconvolto l'Italia", osservare il dato dei nuovi positivi risulta fuorviante perché influenzato dal numero di tamponi fatti, dalla tipologia di pazienti controllati (asintomatici o sintomatici?), dalle attività dei laboratori, dalla precisione del contact tracing e via dicendo. Fattori determinanti, che rendono quel numerino utile ai grandi titoli, ma poco indicativo nella pratica. Perché in Serie A emergono così tanti infetti? Semplice: perché vengono controllati ogni due giorni. Se non dovessero giocare a calcio, nessuno se ne accorgerebbe.

Molto più precisi sono invece altri indicatori della pandemia. Dicono che l'unica cosa certa nella vita sia la morte. Bene, allora guardiamo al dato dei decessi. Ieri si sono spente 22 persone: una tragedia, ma ben lontana dalla strage di marzo quando l'Italia piangeva anche 601 morti al dì. Osservate pure la curva dei decessi: da mesi ormai non cresce quasi più, se non di poche unità al giorno. Lo stesso dicasi per i reparti di terapia intensiva, vero campanello d'allarme utile a capire la gravità dell'epidemia. Il 23 marzo avevamo 3.204 persone in rianimazione in tutta Italia e siamo arrivati ad una punta massima di 4.068 letti occupati il 3 aprile. Un dramma che ci ha costretto a correre i ripari e a incrementare i posti di terapia intensiva (ah, su questo siamo ancora in ritardo), ma che oggi non si sta ancora ripetendo. Certo va tenuta alta l'attenzione, considerato che gli ospedali stanno curando in reparto 3.925 persone. Ma non bisogna neppure urlare più del necessario, visto che il 23 marzo si registravano 20.692 ospedalizzati con sintomi (ed erano 29.010 il 4 aprile).

Arriviamo allora alla domanda cruciale: cosa dobbiamo osservare per capire l'andamento dell'epidemia e decidere se disperarci oppure no? Semplice: la curva del rapporto tra positivi e tamponi effettuati. Oggi le Regioni vantano una capacità di tracciamento molto più diffusa che in passato. Il 23 marzo la Protezione civile aveva registrato appena 17mila test. L'8 ottobre siamo arrivati a 128mila. È normale allora che si trovino più infetti, no? Più tamponi, più contagi. L'equazione è semplice. Ma la percentuale di positivi sul numero di test è oggi molto, molto inferiore rispetto ai mesi del lockdown. Basta guardare la curva, oppure il dato singolo. Il 23 marzo, per dire, il 28,06% dei tamponi fatti risultava positivo: ieri il 3,48%.

A dire il vero, per essere ancor più precisi servirebbe confrontare i "casi testati" e non il numero di tamponi, visto che a volte la stessa persona viene sottoposta a più test per confermare la negatività. Purtroppo le Regioni hanno iniziato a diffondere il dato solo da metà aprile. Dunque sappiamo che il 21 aprile il rapporto era di 9,71%: ogni 10 tamponi diagnostici, uno risultava positivo. Ieri era al 6,46%: ogni 15 test, uno è infetto. Se avessimo il dato di marzo, probabilmente non sarebbe così lontano da quel 28% di cui sopra. E poi c'è un'altra cosa da tenere a mente: considerato il numero di ricoveri decisamente inferiore, di sicuro oggi testiamo tante persone infette ma non "malate". Il 93-94% dei pazienti in isolamento domiciliare, scrive Gimbe, sono infatti asintomatici o poco-sintomatici. Tracciamo cioè individui che nel caos di marzo non ci saremmo mai sognati di sottoporre a tampone, concentrati come eravamo su quelli con sintomi e sui loro parenti stretti. Se nel pieno della crisi avessimo fatto l'esame anche ai contatti dei contatti, oppure avessimo avuto i drive in o le scuole aperte, vi immaginate quanti "nuovi contagi" avremmo registrato? Quindi tenere alta l'attenzione è sempre un bene.

Ma farlo osservando il dato giusto è sicuramente meglio.

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