Non passiamo dal web-giungla ai divieti bigotti

Non passiamo dal web-giungla ai divieti bigotti

Il «manifesto» di Mark Zuckerberg pubblicato sul Washington Post merita attenzione e il suo contenuto va preso sul serio: specie se si considera quanto la nostra vita sia sempre più intrecciata con internet e i social network. In sostanza, l'inventore di Facebook ha chiesto ai governi di intervenire con più decisione per regolare la Rete e mettere sotto controllo quanto lì avviene. Questo è conseguenza del fatto che Zuckerberg è sotto attacco per varie ragioni, accusato - al tempo stesso - d'invadere la privacy e di lasciare veicolare su Facebook ogni genere di contenuto, di non bloccare taluni gruppi e di essere uno spazio libero per le cosiddette fake news.

Il giovane tycoon ha quindi capito che non può difendere il proprio business se non si sottrae a questa condizione di responsabilità su quanto transita sulle sue pagine: gli chiedono tutto e il contrario di tutto, e quindi decide di scaricare sulla politica ogni onere. Quello che suggerisce è che gli Stati regolino e ispezionino, così che lui possa condurre il proprio business senza dovere fare i conti con il moralismo montante. Sul banco degli imputati per i contenuti veicolati dai suoi utenti (specie in tema di razzismo e sessismo), Facebook intende allora uscire dall'angolo, caricando sui governi la responsabilità di definire le norme da osservare e controllare la loro applicazione. Ovviamente la Rete non è il luogo dell'innocenza: lì, come ovunque, si possono compiere misfatti di ogni genere. Su internet si può truffare e derubare, così che esso non va immaginato come uno spazio che si colloca fuori dal diritto. Da qui ad auspicare che gli Stati si lancino in una regolamentazione speciale, però, di strada ne corre eccome.

Se poi pensiamo all'Italia e ci rendiamo conto di quanto sia difficile, da noi, accettare il libero confronto - ad esempio - tra chi ha una visione della famiglia e chi ne ha un'altra, come s'è visto in questi giorni, è facile capire che ogni invito a mettere sotto osservazione pubblica la Rete può mettere a rischio ogni forma di pluralismo.

Se gli Stati accetteranno l'invito di Zuckerberg (e già si sono mossi in questa direzione), la conseguenza sarà che il dibattito pubblico sarà ancora più controllato e, naturalmente, censurato. Rischiamo davvero di finire nelle mani di qualche «bigotto della tolleranza»: di chi crede che in nome della libertà si debbano moltiplicare regole e divieti.

Dio ce ne scampi e liberi.

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