A Miami tra gli esuli traditi: "Ci vendono per fare affari"

In Florida gli anti castristi protestano contro chi antepone la ricostruzione alla repressione

A Miami tra gli esuli traditi: "Ci vendono per fare affari"

Las damas en blanco, le donne vestite di bianco, portavano in braccio i rami della domenica delle Palme. Obama doveva ancora atterrare all'aeroporto dell'Avana sotto una fitta pioggia senz'altro riparo che una selva di grandi ombrelli neri. Le donne in bianco portavano una grande bandiera cubana e un lenzuolo bianco con un hashtag in rosso: «Todos marchamos para la libertad de los presos politicos», marciamo tutti per la libertà dei prigionieri politici. All'incrocio della quinta strada con una collaterale le attendeva la trappola: un gruppo di sostenitori del regime che scandiva slogan provocatori come «Esta calle es de Fidel», questa strada è di Fidel, ossessivamente. Quando le dame in bianco sono arrivate all'incrocio le attendeva una pattuglia di grassi poliziotti in uniforme verde, molte donne nerborute come infermiere di un manicomio, e le dame in bianco hanno lanciato i loro volantini prima di sedersi per terra. Tutte arrestate sotto un diluvio di insulti e calci. Caricate e portate via in massa su alcuni autobus blu con la scritta «Servizio».Il regime segue la stessa linea adottata durante la visita di Papa Francesco (che ignorò i «dissidenti» dicendo: «Nessuno mi ha chiesto di vederli, che posso saperne io?»): arrestare e rilasciare dopo una notte in galera con ceffoni e insulti. L'Herald di Miami pubblica i video di gente più disperata che arrabbiata. Un camionista erculeo con una coda di cavallo ringhia: vivere qui è da suicidio. Su una collina fra antiche macerie le donne ballano a un ritmo caraibico, alcune bellezze cantano in bikini mentre il presidente americano esce dall'aereo con Michelle che indossa un vestito variopinto. Dietro Obama un seguito di affaristi arrivati per il business dell'anno: soldi da investire, soldi da guadagnare. La battaglia per la libertà appare un inconveniente, un pigro pretesto per intralciare gli affari. Tutto il contenzioso di guerra di oltre mezzo secolo si finge archiviato. Dai muri due volti appaiati ti guardano in modo livido, quasi truce: quello di Raùl Castro, fratello 84enne di Fidel (che sta per compierne novanta), e quello del presidente americano uscente Barack Obama, che spera di raggiungere il secondo dei suoi obiettivi di politica estera: far la pace con l'Iran (che ieri Hillary Clinton ha ferocemente attaccato durante un discorso agli ebrei americani) e con la Cuba di Fidel Castro, l'arcinemico che molti ritengono il mandante dell'omicidio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy.A Miami lutto e rabbia. La comunità cubana della Florida è fatta di profughi anticomunisti, molti dei quali hanno rischiato la vita per raggiungere le coste americane negli anni Sessanta e Settanta. I cubani americani sono potenti quanto gli ebrei americani. Lo spagnolo è la seconda lingua ufficiale degli Stati Uniti sia grazie ai cubani che ai messicani e ai portoricani. Ben due aspiranti presidenti del partito Repubblicano sono di origine cubana e uno di loro, Marco Rubio, si sta ancora leccando le ferite per l'umiliazione che gli ha inflitto Trump nel suo Stato. Miami è una megalopoli che parla e pensa in spagnolo, ma in cui i cubani non sono più la maggioranza dopo l'arrivo di ondate di brasiliani, colombiani, argentini. Ma contano ancora moltissimo e ieri hanno fatto pulsare tutta la città con cortei e marce di protesta del «Partido Republicano de Cuba» che accusa Obama di aver venduto la speranza della democrazia e della libertà al business della ricostruzione di Cuba, dove ancora arrancano le vecchie «Chevy» di cinquant'anni fa con i motori legati con lo spago, dove il barbierie serve i clienti su una sedia nel vicolo, dove la prostituzione di donne laureate è spesso il principale introito e dove gruppi di musicisti che ricordano i violinisti di Chagall suonano per strada melodie nostalgiche.Arrivano le notizie di centinaia di nuovi arresti e il mondo degli affaristi si irrita perché queste notizie turbano il clima giocondo degli accordi commerciali. Una donna nerissima fra le damas en blanco dice a una televisione americana: «Come possono pensare di far finta di niente e concludere un accordo economico? Soltanto a marzo, più di duecentocinquanta persone sono state arrestate formalmente senza contare le migliaia portate in prigione senza mandato, senza diritti, senza difesa e senza nemmeno sapere di che cosa sono accusate». Arrivano notizie che fanno a pugni con le immagini «storiche» della coppia presidenziale statunitense a passeggio davanti alla cattedrale sotto l'ombrello. Arrivano notizie di pestaggi durissimi delle forze speciali. Ieri Obama si è incontrato con il laborioso dittatore Raùl Castro dopo aver concesso parole sorridenti e generiche ai cubani che non sono nemmeno definiti democratici o resistenti, ma «dissidenti»: gente bizzarra e di cattivo umore che non è d'accordo con l'operato di un governo dittatoriale legittimato soltanto dalla testarda vecchiaia dei suoi protagonisti.

I «dissidenti» sono stati zittiti, le astanterie degli ospedali sono piene di contusi e feriti, molte ossa rotte e donne con il viso insanguinato. La visita ufficiale continua, Miami disprezza il presidente mentre all'Avana la festa non parte e tutto sembra una beffa.Paolo Guzzanti

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