Fino a qualche anno fa Beppe Grillo giudicava i termovalorizzatori, gli impianti che producono energia dai rifiuti, come una sventura. Ora, invece, ci ha ripensato: nell'ultimo blog non li cita per pudore, ma per via subliminale li suggerisce alla Raggi per risolvere i problemi di Roma. Lo stesso è avvenuto per la Tav, il Tap e anche per modificare quell'obbrobrio di legge sulla prescrizione che si era inventato Bonafede: su questi argomenti i 5 stelle hanno ceduto o sono diventati più elastici, ma per stare appresso alle loro fumisterie le cose sono state fatte tardi e, spesso, male.
Stessa cosa sta avvenendo sul reddito di cittadinanza. Dice il premier: «Non so se va ridisegnato... ma il concetto alla base del reddito di cittadinanza io lo condivido in pieno». Con tutta franchezza, bisogna dire che in questo caso Draghi sbaglia. Si può comprendere il tatto con cui il presidente del Consiglio vuole ammainare l'ultima bandiera dei 5 stelle, per evitare che i grillini vadano in depressione: tolto il reddito, l'ultimo simulacro del Movimento, sarebbe plateale davanti agli occhi dell'opinione pubblica che i seguaci di Grillo e Conte non ne hanno combinato una, dico una, buona. Solo che in piena fase di ricostruzione, pardon di resilienza, il premier non dovrebbe avere problemi a dire la verità ai 5 stelle, cioè che il reddito di cittadinanza è stato un fiasco. Anche perché l'errore commesso ormai è evidente a tutti. È ammesso a mezza bocca anche da qualche esponente grillino.
Il reddito di cittadinanza, infatti, al di là del nome altisonante, alla fine si è rivelato null'altro che un sussidio. Il nome che porta è la prova del suo fallimento. Perchè di sussidi contro la povertà ce ne possono essere tanti, cosa diversa è mettere in campo uno strumento che nelle ambizioni dei suoi inventori doveva servire a veicolare i disoccupati verso il lavoro. Nulla di tutto questo è successo. Anzi, paradossalmente il reddito di cittadinanza ha disincentivato l'approccio al lavoro. Addirittura si sono create le premesse per cui il reddito di cittadinanza è diventato uno strumento alternativo ad un'occupazione, una sorta di stipendio minimo garantito dallo Stato a cui aggiungere i compensi di lavoro in nero. Basta pensare che in Campania, regno del lavoro «sommerso», ci sono tanti beneficiari quanti in tutte le Regioni del Nord. Risultato: ci sono tanti disoccupati; è aumentato il lavoro nero; ma nel contempo non si trovano addetti per molti settori. Per non parlare, poi, dei casi limite, quando si scopre che mafiosi e malavitosi usufruiscono tranquillamente del reddito di cittadinanza.
Altro che «concetto di base condivisibile», di questo istituto bisognerebbe cambiare tutto. Invece, per quieto vivere, Draghi tenta di mediare su un vessillo squisitamente ideologico.
Per cui si arriverà al solito compromesso, che se sarà frutto di una trattativa che parte dalla proposta grillina, risulterà insufficiente o pasticciato. Così come per la giustizia, bisognerà sperare nel referendum, in questo caso proposto dall'altro Matteo, Renzi. Accompagnato dalla fotografia di un Parlamento impotente per evitare traumi ai grillini.
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