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"Sono apostolo di Allah". E scatta l'orrore della forca

La preside pakistana è stata condannata a morte in base agli articoli del Codice penale che puniscono chiunque diffami il nome del Profeta

"Sono apostolo di Allah". E scatta l'orrore della forca

Una preside pakistana è stata ultimamente condannata a morte per blasfemia, dopo un lungo processo avviato nel 2013. Salma Tanveer, a capo di una scuola privata di Lahore, era stata denunciata allora da un religioso locale con l'accusa di "oltraggio al profeta Maometto". La donna avrebbe distribuito materiale in cui si presentava come "l'ultimo apostolo di Allah". Lei, con quell'affermazione, aveva violato il principio islamico per cui il profeta Maometto è stato l'ultimo apostolo inviato da Allah e che non ci saranno più profeti dopo di lui.

Il tribunale di Lahore ha quindi inflitto in questi giorni all'imputata la condanna all'impiccagione, rigettando la tesi degli avvocati di lei per cui la preside sarebbe afflitta da disturbi mentali. Per i legali dell'accusata, questa avrebbe distribuito il materiale blasfemo in conseguenza di un "attacco schizofrenico" e, di conseguenza, la donna non poteva affatto essere messa sotto processo vista la sua incapacità di intendere e di volere.

La Corte di Lahore non ha però accolto le contestazioni avanzate dalla difesa, affermando al contrario che la preside pakistana non presenterebbe "anomalie" tali da farla considerare non imputabile. I magistrati hanno ribadito la punibilità della Tanveer basandosi su un esame effettuato su di lei ad opera del Punjab Institute of Mental Health. L'ente in questione aveva infatti attestato la sostanziale stabilità mentale dell'accusata, smentendo un proprio precedente referto in cui dichiarava invece la preside "mentalmente inabile ad affrontare processi".

La condanna a morte per impiccagione inflitta alla donna dovrà adesso venire confermata dall'Alta Corte nazionale, ma gli avvocati della Tanveer confidano nel fatto che il massimo organo giudiziario pakistano annullerà la condanna capitale. A detta dei legali dell'imputata, l'Alta Corte ha sempre cassato o commutato le sentenze di morte inflitte nel Paese ai danni di chi era stato condannato in base alle leggi sulla blasfemia.

La preside è stata dichiarata colpevole in applicazione degli articoli del Codice penale locale che puniscono con la pena capitale "chiunque con parole o scritti o con immagini o con qualsiasi allusione o insinuazione, direttamente o indirettamente, diffama il sacro nome del Santo Profeta Maometto (pace su di lui)".

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