Quanto a «minchia» non c'è ragione di scandalo. È andata, invece, benissimo agli organizzatori di Manifesta a Palermo, perché resta ancora qualcuno che considera ancora «minchia» una parolaccia e non un intercalare. La parola ha perso ogni connotato sessuale, ma oportet ut scandala eveniant, e tutti hanno parlato della divertente idea di un «artista» che ha scritto «minchia» con le «luminarie» normalmente usate per le feste religiose. Posso credere che sia questa la residua ragione della polemica, insieme allo stupore che una scritta luminosa possa essere considerata un'opera d'arte. La vedo ora, ed è una idea divertente di Fabrizio Cicero, prodotta da Andrea Schiavo. L'arte contemporanea, a partire dall'orinatoio di Duchamp, prevede soprattutto di stupire e di indignare. E il consigliere comunale Sabrina Figuccia dà molta soddisfazione al gioco dei due burloni: «Con una lettera inviata a Orlando ho chiesto l'accesso agli atti per capire chi ha sostenuto i costi e se lo stesso sindaco ritiene che simili episodi facciano bene all'immagine della nostra città». L'artista deve ringraziare la Figuccia. Qualche tempo fa l'argomento fu compiutamente affrontato da Alessandra Agola, nella tesi S-word.
Segni urbani e writing dove si affrontava l'insulto siciliano «Suca» che originariamente indicava un atto sessuale: «La parola, ormai, è entrata a far parte di un campo semantico molto più vasto che ha superato di gran lunga i confini della Sicilia», e ha perduto il significato originale. Dunque perché questa disparità di trattamento fra parole scorrette?
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