Quante bugie scrive Saviano? Nella sua articolessa sull'Espresso del 12 luglio, Saviano invita tutti a parlare come lui. Ineccepibile! E quindi invoca per tutti la scorta che affligge solo lui. Denunciare le mafie non è soltanto affar suo, ma di molti giornalisti che non sono meno coraggiosi di lui, ma meno protetti. Per quello che lo riguarda, il sacrificio di avere la scorta è proporzionale alla potenza di denuncia delle sue parole. Più è scortato, più è credibile; senza scorta non parla. Certo, gli viene benissimo la parte della vittima e, quando non mente, esagera, pur di sputtanare il prossimo. Aggredisce Salvini, lo insulta e poi dichiara: «Qualunque dettaglio potrà essere usato per delegittimarti... È la regola dello squadrismo». Ma la menzogna più evidente è nel residuo automatico di antiberlusconismo con cui la vittima si manifesta. È sempre utile ritornare ai vecchi amori: «Prima era il clan dei casalesi, poi Berlusconi che voleva strozzare chi scriveva di mafia». Non risulta che Berlusconi l'abbia strozzato, ma è certo che ha pubblicato il suo Gomorra, con il quale Saviano ha venduto centinaia di migliaia di copie ed è diventato ricco.
Gli risponde Andrea Camilleri nel libro Voi non sapete ricordando lo sconcerto per il gesto del capomafia storico, don Calò Vizzini, che offri un gran mazzo di rose rosse a Bianca Bianchi, dopo un comizio contro la mafia. Agli increduli rispose: «In primisi pirchì era una fimmina; in secundisi, pirchì le parole, stringi stringi, non portano danno». Capito, Saviano?
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